Le emozioni nella psicologia indiana
Materiali
Le antropologie del mondo indiano
Non
è possibile trattare il tema delle emozioni e delle passioni senza
chiarire, in via preliminare, la concezione antropologica condivisa
da gran parte del pensiero indiano.
Mentre
in occidente la visione prevalente è quella che vede nell'essere
umano l'interazione di due componenti, il corpo e la psiche, nella
filosofia indiana la concezione prevalente è quella che considera
l'essere umano come un'interazione fra tre componenti: corpo, psiche
e spirito. Mentre il pensiero occidentale attribuisce caratteristiche
diverse o addirittura opposte al corpo e alla psiche (il primo fisico
e la seconda immateriale), quello indiano ritiene che corpo e psiche
siano espressione delle medesima matrice, l'energia vitale di origine
divina, che semplicemente vibra ad una frequenza più alta nella
psiche e a una più bassa nel corpo. Corpo e psiche sono perciò
semplicemente la medesima energia a diversa frequenza e quindi
naturalmente e inscindibilmente connessi. Mentre per l'occidente la
prospettiva psicosomatica è stata una lunga e faticosa conquista,
per la psicologia indiana è un presupposto.
Di
per sé l'occidente non è completamente estraneo a questa
prospettiva, che ritroviamo nell'antropologia della patristica
cristiana greca, la quale distingueva anch'essa le tre componenti:
corpo (sóma), psiche (psyché) e spirito
(pnẽuma). Tuttavia questo modello non ha trovato alcuna
applicazione negli studi psicologici.
Perciò
il punto di vista indiano per guardare al problema delle emozioni e
delle passioni è differente e, per certi versi, più complesso di
quello occidentale. In occidente abbiamo focalizzato l'attenzione sul
rapporto fra l'aspetto psichico e quello somatico delle emozioni,
mettendo a fuoco le tre dimensioni – cognitiva, affettiva e
conativa – presenti in un'emozione e studiando gli aspetti
neuroendocrini legati agli stati emotivi.
In
oriente il fatto che vi sia un rapporto diretto fra psiche e corpo
nello stato emotivo è considerato ovvio. Sia nell'ayurveda che
nella medicina tradizionale cinese, i regimi per la tutela della
salute, l'impatto delle malattie e i criteri di intervento
terapeutico sono sempre psicosomatici e il trait-d'union fra corpo e
psiche è quello dell'energia, il prana o il qi.
Il
vero problema, per la psicologia indiana, è comprendere il ruolo che
le emozioni e le passioni hanno nel processo evolutivo spirituale
dell'individuo, ossia, in altre parole, capire se le emozioni siano
funzionali o disfunzionali al percorso che l'individuo compie per
liberarsi dalla fatica e dal dolore del vivere incarnato e
ricongiungersi con il Divino.
In
termini occidentali si potrebbe dire che la psicologia indiana non è
tanto interessata al rapporto corpo-psiche che si viene a determinare
con le emozioni, quanto piuttosto a quello tra il complesso
corpo-psiche (pensato unitariamente) e lo spirito; la prospettiva è
dunque psicopedagogica, più che psicologica o psicosomatica, ma di
una psicopedagogia orientata alla trascendenza.
L'unica
scuola di pensiero indiana che si allontana da questa prospettiva è
quella Cārvāka, semplicemente perché è atea e
materialista e quindi non considera la dimensione spirituale come
l'obiettivo dell'esistenza. Di questa scuola, tuttavia, abbiamo
scarse testimonianze.
Il rapporto corpo/psiche/spirito
Da
quanto si è detto nel paragrafo precedente si comprende che
qualunque possibile discorso sulle emozioni nel pensiero filosofico e
psicologico indiano dipende alla radice dal tipo di rapporto che si
ipotizza fra la dimensione psicosomatica e quella spirituale. In
altri termini, si tratta di decidere se il complesso corpo-psiche
(che per la maggior parte dei sistemi di pensiero indiani è
“materiale” o meglio “energetico”) sia o non sia
ontologicamente diverso dalla dimensione spirituale e incompatibile
con essa.
Se
la risposta fosse positiva, allora, inevitabilmente, tutto ciò che
ha a che fare con la dimensione psicosomatica, emozioni comprese,
assumerebbe un valore negativo, come di qualcosa che dev'essere
abbandonato per “salire” verso la vita puramente spirituale.
Se
invece il complesso corpo-psiche fosse ritenuto ontologicamente
appartenente anch'esso alla dimensione spirituale, tutte le
manifestazioni legate ad esso, emozioni comprese, dovrebbero essere
sussunte in qualunque percorso evolutivo orientato verso la
spiritualità.
Storicamente
il pensiero indiano ha assunto cinque diverse prospettive:
- la prima prospettiva, quella maggioritaria, è una visione “ascetico-rinunciante” che rifiuta corpo, psiche, emozioni e materia per invitare a vivere esclusivamente in una dimensione spirituale; la stragrande maggioranza del pensiero indiano (upaniṣad, jaina, buddhismo, sāṃkhya, yoga, ecc.) opta per questo paradigma, che va a costituire l'ideale del risvegliato-asceta, abbastanza simile a quello del monachesimo occidentale e mediorientale.
- La seconda prospettiva, che in seguito definirò “sintetico-inglobante” ritiene invece che la dimensione materiale sia anch'essa di natura divina, manifestazione percepibile della sfera spirituale che è invece impercepibile. Per questa ragione corpo, psiche, emozioni e passioni, entreranno di diritto nel percorso evolutivo dell'individuo. Questo paradigma sarà condiviso praticamente solo dalle scuole tantriche della “mano sinistra”, specialmente il tantra kashmiro, che, proprio per questo, ci daranno una raffinata trattazione dei “nove rasa”, ossia delle nove emozioni di base che l'essere umano deve imparare a gestire.
- Una terza prospettiva, che viene espressa con la dottrina del trivarga (i “tre obiettivi”), costituisce una sorta di paradigma di compromesso per rendere socialmente accettabile la via ascetico-rinunciante, che viene praticata soltanto all'ultima fase della vita, nella vecchiaia. Questa dottrina esprime la visione dell'establishment brahmanico e rappresenta una soluzione di buon senso pratico che salva la possibilità di godere di beni, emozioni e passioni in età giovanile e adulta, proponendo un passaggio a un modello di vita più ritirata e distaccata quando la morte si avvicina.
- Un ultimo paradigma, assolutamente minoritario, è costituito dalla già citata scuola Cārvāka, materialista e atea che, essendo priva della prospettiva spirituale propone un individualismo e un edonismo senza limiti, nella consapevolezza che gli eventuali dolori, fatiche o emozioni negative che inevitabilmente sono presenti nella vita, non devono impedirci di goderne i piaceri. Il dualismo dolore/piacere, repulsione/attrazione è tutto ciò a cui viene ridotta la sfera emotiva. Le testimonianze relative a questa scuola di pensiero, tuttavia, sono poverissime e i parallelismi che spesso vengono proposti fra Cārvāka ed epicureismo, sono poco pertinenti.
- Esiste infine lo sguardo artistico e religioso attraverso cui il mondo indiano ha guardato all'emozioni e alle passioni: letteratura, poesia, arte figurativa, scultura, teatro e religiosità devozionale hanno assai spesso rappresentato le emozioni, le passioni, l'eros, la sensualità, contribuendo, nella sensibilità orientale, a creare l'immagine dell'India del Kāmasūtra. Lo sguardo artistico, ovviamente più descrittivo ed evocativo che analitico, esprime evidente ammirazione per la potenza delle emozioni e delle passioni, ma non manca di mostrarne anche la potenziale pericolosità.
Questo
quadro teoretico ci riconsegna l'immagine di un'India
contraddittoria, lacerata tra forme estreme di ascesi e
raffinatissimi piaceri. Questa scissione, che si respira in tutta la
cultura indiana, è tuttavia più apparente che reale. Infatti, tutte
quante le prospettive sopra ricordate – ad eccezione degli atei
materialisti – sono accomunate dalla convinzione che la completa
evoluzione dell'essere umano debba condurlo a un livello di
consapevolezza che vada oltre l'aggancio emozionale.
Infatti,
per tutto il pensiero indiano – sia che accetti le emozioni o che
le rifiuti – la dimensione emozionale resta legata al mondo degli
opposti, della polarità (buono/cattivo, mi piace/non mi piace,
attrazione/repulsione) che deve in ogni caso essere trascesa, perché
il vero obiettivo finale dell'essere umano resta comunque la fusione
con il Principio Originario, l'unità al di là di ogni dualismo, che
anche le scuole tantriche, la prassi brahmanica, la sensibilità
artistica e la religiosità devozionale accettano e ricercano
pienamente.