La medicalizzazione della scuola
Materiali
Il
15 maggio 2017, il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani (CCDU),
o.n.l.u.s., ha organizzato a Milano un convegno dal
titolo: “Medicalizzazione della scuola:
rischi connessi”.
Si
è trattato di un'ottima occasione per fare luce su uno dei fenomeni
più inquietanti degli ultimi vent'anni: l'aumento esponenziale della
richiesta di intervento psichiatrico e il conseguente sconsiderato
proliferare dell'uso di psicofarmaci.
I
dati generali riguardanti la prescrizione e l'utilizzo di
psicofarmaci, in sé, sono già sconcertanti. Un recente studio
in Jama Internal Medicine* attesta
che, dal 2004 al 2013, il numero di pazienti dai 65 anni in su, ai
quali, a seguito di visita psichiatrica, siano stati prescritti 3 o
più farmaci psicotropi, è passato da 1 milione e mezzo a quasi 3
milioni e 700 mila. Siamo di fronte a un inquietante raddoppio (e la
cifra si limita agli anziani!) in meno di dieci anni.
Cifre
simili, hanno tre possibilità di interpretazione:
- la nostra società sta completamente esplodendo dal punto di vista dello stress psichico, al punto da raddoppiare i disturbati psichici fra i soli anziani, in meno di dieci anni; se ciò fosse vero, forse, più che somministrare farmaci, sarebbe necessario chiedersi una volta per tutte se non abbiamo creato un contesto socio-culturale totalmente demenziale e decidersi a modificarlo;
- gli psichiatri prima del 2004 erano degli incompetenti, perché non riconoscevano situazioni patologiche che invece oggi vengono immediatamente rilevate; sarebbe interessante, a questo punto, indagare le cause di questo miracoloso miglioramento della diagnostica psichiatrica;
- c'è in atto un'associazione lucrativa molto redditizia fra psichiatria e industria farmaceutica.
Quest'ultima
ipotesi di lettura sembra di gran lunga la più probabile, dato che
il centro di profitto determinato dagli psicofarmaci ha ormai
raggiunto gli 80 miliardi di dollari!
Da
questo desolante marketing del disagio psichico, probabilmente per un
estremo residuo di pudore, erano finora stati esclusi i bambini; la
cosa, però, non poteva durare a lungo. Introdurre gli psicofarmaci
ai bambini consentirebbe di creare individui dipendenti dal farmaco
per 70/80 anni, creando un business enorme, probabilmente il più
gigantesco mai immaginato. La cosa negli Stati Uniti si sta
puntualmente verificando e il convegno ha portato all'attenzione il
fatto che anche in Italia si stia assumendo un'inquietante deriva.
DSA e ADHD: il trucco della “comorbilità”
Il
Dott. Alberto Brugnettini, il primo relatore del convegno, ha fatto
notare che in Italia le diagnosi di DSA (Disturbi Specifici
dell'Apprendimento) e di ADHD (Attention-Deficit/Hyperactivity
Disorder), ovvero la sindrome da deficit di attenzione e
iperattività, sono triplicate in quattro anni! Nel solo triennio
2009-2012, il MIUR ha partorito ben 10 circolari sui disturbi
specifici dell'apprendimento.
Inquietante
scenario. Mi viene da chiedermi: i nostri bambini sono indemoniati?
Si è scatenata un'epidemica incapacità ad apprendere? L'eccesso di
frequentazione di cellulari, videogiochi, computer, ecc. ha
rincitrullito un'intera generazione?
Giustamente,
il Dott. Brugnettini si è chiesto il perché di tutta questa spinta
verso l'identificazione di “patologie” (le virgolette sono
d'obbligo, perché tali non sono!) di cui fino a dieci anni fa
neppure si parlava?
Nella
sua ricerca ha ritenuto opportuno verificare se qualcuno avesse un
vantaggio economico derivante da questa esplosione di disturbi
dell'apprendimento.
Di
per sé, i DSA non prevedono trattamento farmacologico. Il “trucco”
sta nell'utilizzare subdolamente il concetto di “comorbilità
psichiatrica” (o “comorbidità”). Il termine viene utilizzato
in medicina per indicare la compresenza in uno stesso soggetto di due
o più disturbi di origine diversa.
Determinati
disturbi dell'apprendimento, nonché la sindrome da deficit di
attenzione ed iperattività, che in sé non sono patologie, possono
essere manifestazione anche di situazioni patologiche nevrotiche o
psicotiche.
Per
esempio, il comportamento aggressivo di un bambino può dipendere da
cause molto diverse, che vanno dal semplice fatto che stia vivendo un
periodo di particolare stress che non riesce ad esprimere in altro
modo, all'avere un disturbo oppositivo-provocatorio, all'essere
affetto da ritardo mentale o disturbo psicotico.
In
casi simili, se viene avanzata l'ipotesi psichiatrica che il disturbo
dipenda da cause patologiche, l'intervento farmacologico diventa
lecito non per “curare” il disturbo, ma la presunta patologia che
lo determina.
Fra
l'altro, gli effetti collaterali di molti psicofarmaci (è il caso,
per esempio del “Ritalin”) generano situazioni che possono
determinare ulteriori diagnosi psichiatriche, totalmente indotte dal
farmaco. E il gioco è fatto! Il trucco della comorbilità ha già
fatto nascere un giro di interessi da 1 miliardo di euro per le sole
case farmaceutiche, senza contare il voluminoso giro di affari dei
vari centri privati di psicologia, logopedia, ecc. che possono
arrivare a far pagare una batteria di test per la dislessia fino a
800 euro!
Diagnosi altamente soggettiva?
La
Dott.ssa Cinzia Onofri, neuropsichiatra infantile e pedagogista, ha
ricordato che disgrafia, dislessia e discalculia sono soltanto
sintomi, non patologie e fra gli studiosi non c'è nessun accordo in
proposito, al punto che se le “diagnosi” di ADHD vengono
effettuate secondo i parametri del manuale americano di psichiatria o
in base a quelli dell'OMS, si ha una differenza di vari milioni di
casi. Il che dimostra che, in realtà, non c'è alcuna “oggettività”
nell'identificazione di queste presunte patologie e la “diagnosi”
è largamente discrezionale.
È
bene sottolineare che una diagnosi psicologica e psichiatrica non si
fa mai soltanto in base ai test. Intorno a questi ultimi c'è un
business enorme, ma i test, da soli, non fanno diagnosi.
La
Dott.ssa Onofri ha richiamato alcuni principi operativi che trovo
particolarmente interessanti, perché abbracciano alcuni criteri del
"Body, Touch & Care Method":
- occorre parlare con i bambini, interagire con essi, osservarli nella loro interezza, in tutte le componenti;
- occorre considerare sempre l'intero complesso familiare;
- non è l'organo che fa la funzione, ma la funzione che fa l'organo; il che, in altre parole significa che se il bambino vive totalmente in una modalità comunicativa iconica e acustica (come accade prevalentemente nell'universo massmediale), troverà molte più difficoltà ad avvicinarsi al canale verbale nella sua modalità scritta di quanto non avvenisse per le generazioni precedenti, per le quali la comunicazione verbale-scritta era molto più usuale e presente;
- anche le esperienze negative, se non sono soverchianti, sono formative; l'atteggiamento pedagogico che mira a togliere ai bambini qualunque difficoltà da superare, ne fa dei deboli, perché deprime la possibilità di costruire resilienza;
- la medicalizzazione, attraverso le presunte “diagnosi” dei disturbi dell'apprendimento, pone delle etichette sui bambini che spesso finiscono con l'identificarsi (e adagiarsi) sul problema;
- occorre avere il coraggio di chiedersi se l'aumento significativo della dislessia non dipenda anche da alcuni discutibili metodologie didattiche, quali, ad esempio, il cosiddetto “metodo globale” che, invece di partire dai componenti elementari del linguaggio scritto (i segni e le lettere), muove dalla presunta lettura e comprensione di un'intera frase. L'adagiarsi acritico su queste presunte “nuove metodologie” è un problema dei corpi docenti. È follia trasformare in problema psichiatrico quello che probabilmente è solo un problema didattico.
Considerazioni personali...
A
margine di tutto ciò, avanzo alcune mie personali considerazioni.
Psichiatria
e psicologia, dal punto di vista epistemologico appaiono sempre più
della medesima natura della filosofia, ossia propongono modelli
interpretativi della realtà completamente soggettivi e spesso
neppure congruenti.. Con l'unica differenza che, spesso, in filosofia
la coerenza logica degli enunciati è strettamente verificata e c'è
la piena consapevolezza di non fornire alcuna “descrizione
oggettiva” della realtà, ma una semplice modellizzazione
interpretativa di essa.
Il
celeberrimo “esperimento di Rosenham” del 1973 (in cui infiltrò
8 suoi collaboratori sani in 12 strutture psichiatriche, simulando
dei sintomi che portarono a deliranti diagnosi di schizofrenia) ha
gettato un'ombra sconfortante sull'attendibilità della psichiatria
e, nondimeno, il cieco affidamento ad essa e al potere delle presunte
“scienze psichiche” è esponenzialmente aumentato, perché si
tratta di una lobby sempre più potente.
Tutto
questo è tanto più grave, perché, mentre nella filosofia la
presenza di modelli diversi non è giudicativa e apre al dialogo e
all'ascolto, in psicologia e psichiatria spesso la presunta
“scientificità oggettiva” delle discipline viene chiamata in
causa per decidere su questioni delicatissime e la civiltà
occidentale contemporanea, demanda spesso a psicologia e psichiatria
di decidere dei destini delle persone, etichettandole a vita.
C'è
bisogno di una forte e profonda azione di chiarimento sui limiti
gnoseologici ed epistemologici delle varie discipline, perché si
smetta una volta per tutte di chiedere a certi ambiti del sapere di
fornire risposte che non sono in grado di dare.
Probabilmente
la complessità multifattoriale delle dinamiche psicosomatiche umane
è tale da richiedere altri approcci, oltre una presunta
“oggettività” scientifica.
Sarà
per questo che, spesso, nei monasteri Zen veniva ospitato almeno un
“pazzo” e trattato con grande rispetto? Così labile è il
confine tra pazzia e visione!
* Riportato su “Monitor on Psychology”, il magazine ufficiale
dell'American Psychological Association, maggio 2017, p.11