Yoga e Tantra di fronte al corpo
Materiali
La
posizione del mondo indovedico nei confronti del corpo è
contraddittoria. Il fatto, in sé, non stupisce, in quanto il corpo
rappresenta il gradino più basso dell’emanazione energetica, la
vibrazione di frequenza più bassa e pertanto può essere visto da
due differenti punti di vista:
- come l’entità di minor valore in assoluto, che quindi va dominata, controllata e superata;
- oppure come il primo gradino nella risalita verso la consapevolezza e l’incontro con il divino e quindi considerato strumento prezioso.
Il
primo punto di vista appare nettamente prevalente nella cultura
indovedica e trova l’espressione più completa nelloYoga
darśana di Patañjali che
lascia intendere una sostanziale svalutazione della dimensione
corporea e della sessualità. Il corpo va dominato, controllato,
trasceso, perché la sua natura materiale ci lega ai bisogni e ai
piaceri e quindi innesca tutti i meccanismi di attaccamento a questo
mondo irreale e ci va rimanere nella dimensione di "maya".
L'apparenza dell'esistenza impermanente, il cui ciclo chiuso si
ripete all'infinito, senza alcun senso.
Il
secondo punto di vista, invece, caratterizza molte scuole di Tantra e
tende a vedere nel corpo, nei sensi e nella sessualità degli
strumenti potenti a servizio della consapevolezza.
In
un certo senso, una volta stabilito che il percorso evolutivo
dell’essere umano consiste nell’essere “in viaggio verso
Moksha”, ossia verso la trasformazone definitiva, ci si può
chiedere come possa essere percorsa questa via.
Se
l’obiettivo è quello di salire verso il cielo, possiamo scegliere
due diverse modalità: volare come uccelli o crescere radicandoci
cone una quercia.
L’aṣṭāṅga
yoga di Patanjali propone, in un certo
senso, di costruirsi le ali per volare, purificando progressivamente
il proprio essere; il Tantra suggerisce invece il modello dei grandi
alberi: radicarsi profondamente nella terra per poter innalzare le
proprie fronde nell’azzurro del cielo.
Volare
è una sfida dura: occorre alleggerirsi al massimo, rinunciare a
moltissime cose per tornare ad un’essenzialità assoluta, allenarsi
duramente, avere coraggio e potenza per combattere la forza di
gravità. Per questo, con molta lucidità, il grande maestro Osho
Rajneesh sosteneva che lo yoga vedico è una via “maschile” verso
il divino, una via per combattenti spirituali.
La
grande quercia opera diversamente: forte, radicata nella terra,
accoglie fra i rami lo spazio del cielo e le sue creature, senza
sfidarlo, come una madre che vede nel suo piccolo figlio una
scintilla di Dio, ma, al contempo, lo nutre e lo allatta, senza
dimenticare che – per ora – egli appartiene ancora alla terra. E
anche la terra sa amare!
Questo
è il Tantra: la via "femminile" verso “Moksha”.
Tuttavia
va detto che il corpo a cui il Tantra si riferisce, non sembra tanto
il corpo reale, fisico, mortale, quanto piuttosto il suo doppio
alchemico, la sua immagine simbolica.
Il
corpo è il luogo dove la divinità si manifesta, proprio perché in
esso si possono rinvenire simbologie, forme geometriche sacre; il
corpo è un vero e proprio yantra vivente, segno efficace della
presenza divina. Solo chi sa "vedere" nel corpo tutto
questo, secondo il Tantra, ne transvaluta il significato e il valore.
In
un certo senso, quindi, nessuna delle due "vie" indiane
considera davvero il corpo fisico, in carne ed ossa, come un valore.
Tuttavia, ai fini dell’elaborazione di una teoria e di una prassi
psicopedagogica, il punto di vista tantrico sul corpo può risultare
più stimolante e potente sotto il profilo terapeutico, perché, pur
simbolizzandolo e ritualizzandolo, ci invita a porre tutta la nostra
consapevolezza sul corpo.
Se
c’è un problema evidente, nella nostra attuale società
occidentale, è la completa mancanza di serenità con cui guardiamo
il corpo. Le posizioni, in proposito, manifestano due estremi. Da una
parte vi sono molti individui che non hanno alcuna percezione del
corpo, salvo quando vi siano malattie e dolori. L’equazione tra
corpo e malattia, corpo e dolore, corpo e peccato, conduce ad una
intrinseca svalutazione della fisicità e ad una fuga nel mentale.
Per questo una percentuale rilevante di uomini e di donne nella
nostra cultura vive esclusivamente nella mente, in una sorta di
“incarnazione incompleta”. Sul lato opposto, il corpo costituisce
per altri un vero e proprio oggetto di culto, sottoposto a cure
estetiche maniacali: fitness esasperato, bodybuilding, chirugia
estetica sono la dimostrazione più eclatante di un’infelicità,
un’insoddisfazione e un’incomprensione profonda circa il
significato del corpo e dei sensi.
Come
sempre, quando nei confronti di qualcosa si oscilla fra la fuga
demonizzante o la maniacale dipendenza significa che c’è un
problema serio.
In
effetti la nostra cultura vive molto male la fisicità del corpo, sia
nella prassi quotidiana (lavori degradanti, routine automatiche,
ambienti che annichilano i sensi), che attraverso una sorta di
svalutazione culturale. Si pensi, ad esmpio, alla “fobia” che
molte religioni manifestano nei confronti della fisicità, alla
visione scientificamente gelida che la medicina ufficiale ha nei
confronti del corpo, sezionato e parcellizzato, all’asettica
mancanza di qualunque approccio corporeo nella maggior parte delle
principali scuole psicoterapiche, abili nel parlarne, ma totalmente
inette a viverlo. Si pensi a quanto poco spazio viene riservato alla
corporeità nei programmi pedagogici e nella concreta prassi
didattico-educativa delle nostre scuole.
Tutto
ciò parla di un disagio metafisico, tanto più grave in quanto la
nostra civiltà ritiene il corpo l’espressione più forte e diretta
dell’identità personale.
In
un certo senso il paradosso consiste nel fatto che ci hanno insegnato
per secoli che “io sono il corpo” e, al tempo stesso, non è mai
stato sviluppato un modo sereno di viverlo. Tutto questo ci pone in
scissione rispetto allo strumento principale che definisce la nostra
identità.
Uno
degli esiti possibili di questa scissione è la violenza, sia sul
proprio corpo (anoressia, chirurgia estetica, ottundimento di
sensazioni e sentimenti, droghe, attività compulsive, kamikaze,
ecc.) che sul corpo dell’altro (violenza, stupro, ecc.).
Il
Tantra fornisce una visione della corporeità totalmente alternativa
rispetto a questo disagio; una visione che è insieme pedagogica e
curativa per le nostre “fobie” somatiche.