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Yoga e Tantra di fronte al corpo

Studio Lacchini - formazione culturale - percorsi evolutivi
Pubblicato da Luigi Lacchini in sapienze orientali · 15 Febbraio 2016
Tags: yogatantracorporeitàPatanjali
Yoga e Tantra di fronte al corpo
il tabù della corporeità, tra ascesi e divinizzazione


La posizione del mondo indovedico nei confronti del corpo è contraddittoria. Il fatto, in sé, non stupisce, in quanto il corpo rappresenta il gradino più basso dell’emanazione energetica, la vibrazione di frequenza più bassa e pertanto può essere visto da due differenti punti di vista:

  • come l’entità di minor valore in assoluto, che quindi va dominata, controllata e superata;
  • oppure come il primo gradino nella risalita verso la consapevolezza e l’incontro con il divino e quindi considerato strumento prezioso.
Il primo punto di vista appare nettamente prevalente nella cultura indovedica e trova l’espressione più completa nelloYoga darśana di Patañjali che lascia intendere una sostanziale svalutazione della dimensione corporea e della sessualità. Il corpo va dominato, controllato, trasceso, perché la sua natura materiale ci lega ai bisogni e ai piaceri e quindi innesca tutti i meccanismi di attaccamento a questo mondo irreale e ci va rimanere nella dimensione di "maya". L'apparenza dell'esistenza impermanente, il cui ciclo chiuso si ripete all'infinito, senza alcun senso.
Il secondo punto di vista, invece, caratterizza molte scuole di Tantra e tende a vedere nel corpo, nei sensi e nella sessualità degli strumenti potenti a servizio della consapevolezza.
In un certo senso, una volta stabilito che il percorso evolutivo dell’essere umano consiste nell’essere “in viaggio verso Moksha”, ossia verso la trasformazone definitiva, ci si può chiedere come possa essere percorsa questa via.
Se l’obiettivo è quello di salire verso il cielo, possiamo scegliere due diverse modalità: volare come uccelli o crescere radicandoci cone una quercia.
L’aṣṭāṅga yoga di Patanjali propone, in un certo senso, di costruirsi le ali per volare, purificando progressivamente il proprio essere; il Tantra suggerisce invece il modello dei grandi alberi: radicarsi profondamente nella terra per poter innalzare le proprie fronde nell’azzurro del cielo.
Volare è una sfida dura: occorre alleggerirsi al massimo, rinunciare a moltissime cose per tornare ad un’essenzialità assoluta, allenarsi duramente, avere coraggio e potenza per combattere la forza di gravità. Per questo, con molta lucidità, il grande maestro Osho Rajneesh sosteneva che lo yoga vedico è una via “maschile” verso il divino, una via per combattenti spirituali.

La grande quercia opera diversamente: forte, radicata nella terra, accoglie fra i rami lo spazio del cielo e le sue creature, senza sfidarlo, come una madre che vede nel suo piccolo figlio una scintilla di Dio, ma, al contempo, lo nutre e lo allatta, senza dimenticare che – per ora – egli appartiene ancora alla terra. E anche la terra sa amare!
Questo è il Tantra: la via "femminile" verso “Moksha”.
Tuttavia va detto che il corpo a cui il Tantra si riferisce, non sembra tanto il corpo reale, fisico, mortale, quanto piuttosto il suo doppio alchemico, la sua immagine simbolica.
Il corpo è il luogo dove la divinità si manifesta, proprio perché in esso si possono rinvenire simbologie, forme geometriche sacre; il corpo è un vero e proprio yantra vivente, segno efficace della presenza divina. Solo chi sa "vedere" nel corpo tutto questo, secondo il Tantra, ne transvaluta il significato e il valore.
In un certo senso, quindi, nessuna delle due "vie" indiane considera davvero il corpo fisico, in carne ed ossa, come un valore. Tuttavia, ai fini dell’elaborazione di una teoria e di una prassi psicopedagogica, il punto di vista tantrico sul corpo può risultare più stimolante e potente sotto il profilo terapeutico, perché, pur simbolizzandolo e ritualizzandolo, ci invita a porre tutta la nostra consapevolezza sul corpo.

Se c’è un problema evidente, nella nostra attuale società occidentale, è la completa mancanza di serenità con cui guardiamo il corpo. Le posizioni, in proposito, manifestano due estremi. Da una parte vi sono molti individui che non hanno alcuna percezione del corpo, salvo quando vi siano malattie e dolori. L’equazione tra corpo e malattia, corpo e dolore, corpo e peccato, conduce ad una intrinseca svalutazione della fisicità e ad una fuga nel mentale. Per questo una percentuale rilevante di uomini e di donne nella nostra cultura vive esclusivamente nella mente, in una sorta di “incarnazione incompleta”. Sul lato opposto, il corpo costituisce per altri un vero e proprio oggetto di culto, sottoposto a cure estetiche maniacali: fitness esasperato, bodybuilding, chirugia estetica sono la dimostrazione più eclatante di un’infelicità, un’insoddisfazione e un’incomprensione profonda circa il significato del corpo e dei sensi.
Come sempre, quando nei confronti di qualcosa si oscilla fra la fuga demonizzante o la maniacale dipendenza significa che c’è un problema serio.
In effetti la nostra cultura vive molto male la fisicità del corpo, sia nella prassi quotidiana (lavori degradanti, routine automatiche, ambienti che annichilano i sensi), che attraverso una sorta di svalutazione culturale. Si pensi, ad esmpio, alla “fobia” che molte religioni manifestano nei confronti della fisicità, alla visione scientificamente gelida che la medicina ufficiale ha nei confronti del corpo, sezionato e parcellizzato, all’asettica mancanza di qualunque approccio corporeo nella maggior parte delle principali scuole psicoterapiche, abili nel parlarne, ma totalmente inette a viverlo. Si pensi a quanto poco spazio viene riservato alla corporeità nei programmi pedagogici e nella concreta prassi didattico-educativa delle nostre scuole.
Tutto ciò parla di un disagio metafisico, tanto più grave in quanto la nostra civiltà ritiene il corpo l’espressione più forte e diretta dell’identità personale.
In un certo senso il paradosso consiste nel fatto che ci hanno insegnato per secoli che “io sono il corpo” e, al tempo stesso, non è mai stato sviluppato un modo sereno di viverlo. Tutto questo ci pone in scissione rispetto allo strumento principale che definisce la nostra identità..
Uno degli esiti possibili di questa scissione è la violenza, sia sul proprio corpo (anoressia, chirurgia estetica, ottundimento di sensazioni e sentimenti, droghe, attività compulsive, kamikaze, ecc.) che sul corpo dell’altro (violenza, stupro, ecc.).
Il Tantra fornisce una visione della corporeità totalmente alternativa rispetto a questo disagio; una visione che è insieme pedagogica e curativa per le nostre “fobie” somatiche.

Per approfondire...

David Gordon White - "Il corpo alchemico" - Ediz. Mediterranee



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