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Pindasveda e Navarakhizhi

Studio Lacchini - formazione culturale - percorsi evolutivi
Pubblicato da Luigi Lacchini in ayurveda · 10 Dicembre 2003
Pindasveda e Navarakhizi
le tecniche diaforetiche dell'ayurveda

1. Le tecniche diaforetiche nel Panchakarma tradizionale

Per inquadrare in modo preciso il ruolo terapeutico di pindasveda e navarakhizhi è necessario riconsiderare questi trattamenti all’interno delle tecniche del panchakarma classico; quest’ultimo si suddivide in tre fasi:
  • Purvakarma – ovvero le “azioni preliminari”;
  • Pradhanakarma – ovvero le “azioni principali”, in cui consiste il panchakarma propriamente detto;
  • Pascatakarma o Uttarakarma – ossia le “azioni successive”.

Il Purvakarma, o prima fase, inizia circa due settimane prima del panchakarma vero e proprio, si basa fondamentalmente su tecniche lenitive (“samana”) e ha tre finalità principali:
  • Ridurre e smaltire la maggior quantità possibile di “ama”, le tossine;
  • Rafforzare “agni”, ovvero il fuoco gastrico, per evitare la formazione di ulteriore ama;
  • Attenuare i dosha alterati e farli affluire dai tessuti periferici al centro (intestino, polmoni).

Per ottenere questi tre risultati, si utilizzano tre tecniche:
  • Una dieta appropriata;
  • Il massaggio (snehana o abhyangam)
  • Le tecniche diaforetiche (svedna karma)

1.1 Svedna karma
Gli antichi testi ayurvedici prevedono varie tecniche in grado di ottenere un effetto diaforetico. In sé, il termine “sveda” significa sudore, uno dei tre “mala”, ovvero uno dei prodotti di scarto che il sistema corporeo deve trattenere nella giusta proporzione e di cui deve espellere l’eccesso. Più precisamente, il sudore costituisce uno dei prodotti di scarto di kapha. L’espulsione del sudore contribuisce ovviamente ad ottenere il primo degli obiettivi del purvakarma, ovvero la riduzione delle tossine, che vengono espulse attraverso i pori.
Inoltre, secondo la tradizione ayurvedica, la produzione di sveda contribuirebbe a sua volta a produrre “kleda”, un fluido corporeo essenziale che contribuisce a mantenere l’umidità e la giusta temperatura del corpo.
La produzione di sveda avviene grazie al contributo di pitta e/o agni, ovvero le forme “interne” di fuoco di cui il corpo dispone. Quando il corpo è in salute la produzione di sudore è autoregolata e ben equilibrata, mentre quando il corpo si ammala il sudore viene prodotto o in eccesso o in difetto. È il caso, ad esempio, di chi ha la febbre o viene colpito da un urto di vomito e, in seguito a questo, ha un forte aumento della sudorazione e conseguente disidratazione.
Ora, secondo gli antichi testi ayurvedici,[1] l’epidermide, che è la nostra barriera verso il mondo esterno, non può esistere né mantenersi morbida, senza l’ausilio di sveda e kleda. Per questo il mantenimento della corretta quantità di entrambi i fluidi è molto importante.
Secondo Charaka Samhita, svedna karma è il trattamento che aiuta il corpo a liberarsi dalla rigidità, dalla pesantezza e dal freddo attraverso il sudore. Di fatto, viene utilizzato per intervenire su una vasta gamma di disagi corporei dovuti ad eccesso di vata e di kapha.
Il trattamento di svedna karma, qualunque sia la forma con cui viene eseguito, fa sempre seguito ad una tecnica di oliazione (snehana), sia esterna che interna.

Le tecniche di svedna karma possono essere classificate da vari punti di vista:
  • Tecniche facenti uso di fonti di calore esterne rispetto al corpo;
  • Tecniche in grado di indurre calore “dall’interno” del corpo mediante il ricorso a vari tipi di decotti a base d’erbe officinali
  • Tecniche asciutte o umide

1.2 Le tecniche di Pindasveda

Le tecniche di Pindasveda e Navarakhizhi sono fra le più antiche e note dell’ayurveda, menzionate già nella Charaka Samhita e nel Vahatas Asthanga Sanraha. Letteralmente, “Pindasveda” significa aiutare il corpo (“Pinda”) a traspirare e a sudare (“Sveda”). Il metodo più comune utilizzato in ayurveda per effettuare questo trattamento, è quello del bagno di vapore. Normalmente si fa uso di una scatola sufficientemente grande per contenere una persona, con un foro in alto per consentire al paziente di tenere la testa fuori, al fresco. Nella scatola viene immesso vapore caldo. Prima di entrare, al paziente viene chiesto di evacuare e di bere un paio di bicchieri di acqua fresca. Sulla testa gli viene posto un asciugamano umido e fresco.
Il paziente rimane nel bagno di vapore non più di mezz’ora, e poi viene invitato a fare una rapida doccia fredda e a rimanere in assoluto riposo per circa mezz’ora. Solo dopo questo tempo gli viene permesso di assumere alimenti semi-liquidi (zuppe, succhi o frutta).

Nella scuola di panchakarma del Kerala, le tecnica di Pindasveda viene effettuata in tutt’altro modo, effettuando una fomentazione dell’intero corpo mediante una sorta di trattamento di massaggio effettuato ricorrendo a particolari mix di erbe calde, o utilizzate secche, oppure sotto forma di decotti, mescolate con una speciale varietà di riso bollito nel latte (navarakhizhi). Solitamente i mix di erbe e i decotti vengono posti in piccoli sacchettini di cotone non colorato, mantenuti caldi, che costituiscono una sorta di “palline” grandi più o meno un pugno. Il massaggio viene effettuato proprio utilizzando questi sacchettini (denominati “potali”) al posto delle mani.
L’utilizzo di fitopreparati all’interno dei potali fa sì che, talvolta, tale tecnica sia denominata “patrasveda”, in quanto “patra” significa appunto “foglie”.

Prima di addentrarci nell’analisi di questa tecnica, è bene considerare la sua intrinseca diversità rispetto al Pindasveda effettuato mediante il bagno di vapore.
Le differenze più eclatanti sono due:
  • Il bagno di vapore energizza uniformemente l’intero corpo (testa esclusa); per questo motivo, benché dal punto di vista della sudorazione si possa considerare identico al Pindasveda del Kerala, non lo è sotto il profilo energetico, in quanto non si viene a determinare la differenza di potenziale che è essenziale per avere flusso di energia. Fra l’altro, l’utilizzo dei potali caldi consente di agire su specifici punti marma e, se li si conosce, anche su meridiani e punti di agopuntura.
  • La tecnica di Pindasveda del Kerala fa uso di fitopreparati, per cui unisce al potere del calore quello delle sostanze medicamentose rilasciate; in questa tecnica sarà perciò essenziale esaminare il contenuto dei potali, utilizzando “ricette” diverse a seconda del disturbo su cui si vuole intervenire.

2. Gli effetti del trattamento Pindasveda

Gli effetti dei trattamento pindasveda secondo l’ayurveda classico, sono molteplici. Si possono ricordare schematicamente:
  • Scioglie gli indolenzimenti articolari dovuti a gonfiore e ristagno dei liquidi
  • In conseguenza di ciò aiuta a recuperare l’elasticità del corpo
  • Attenua i disturbi di tipo vata
  • Aiuta a liberare gli srotas occlusi (srotorodha)
  • Migliora la circolazione sanguigna
  • Aiuta a ripulire il corpo da ama
  • Aumenta pitta e agni, rinforzando la digestione
  • Elimina pigrizia e sonno eccessivo
  • Attiva il metabolismo

In termini più comprensibili per i pazienti occidentali, possiamo dire che il trattamento pinsasveda ripulisce il corpo dalle tossine, rinvigorisce e rallenta i processi di invecchiamento. Si può notare l’assoluta congruenza di vedute tra la prospettiva ayurvedica e l’analisi degli effetti dei trattamenti termici proposta precedentemente in termini di fisiologia occidentale. Ovviamente non si sta parlando di “un” trattamento, ma di cicli ripetuti di trattamenti.

3. Come si effettua un trattamento Pindasveda

Il trattamento pindasveda nello stile del Kerala è un vero e proprio protocollo, che prevede numerose fasi per essere eseguito e regola d’arte. Ne indichiamo schematicamente la struttura:

  • Snehana preparatorio del corpo con olio tridosha o con altro olio medicato specifico per il problema da trattare; (circa 20/35 minuti)
  • Massaggio del viso e della testa con olio di cocco o di amla  e masthiskya [2] (5/10 minuti)
  • Massaggio con i potali medicati (da 30 minuti a un’ora e mezza)
  • Abhyangam rapido utilizzando le erbe o la pasta contenute nei potali (che vengono aperti) (10 minuti)
  • Doccia tiepida o, meglio ancora, bagno con erbe medicate (5/15 minuti)
  • Fase di assoluto riposo mantenendo il paziente coperto, asciutto, in un luogo silenzioso (30 minuti)
  • Eventuale canto di mantra durante il periodo di riposo
Tra una fase e l’altra è necessario che trascorra sempre qualche minuto di totale silenzio e, possibilmente, buio.
Il tutto può durare fra un’ora e mezza e due ore, sempre che, nella fase n.3, il massaggio con i potali medicati non venga eseguito secondo le indicazioni tradizionali. In quest’ultimo caso, dato che al paziente vengono fatte assumere ben 7 posizioni diverse, l’intero trattamento supera abbondantemente le tre ore, divenendo quasi improponibile in ambito occidentale. È opportuno che durante l’esecuzione del trattamento sia il paziente che gli operatori rispettino il silenzio per quanto possibile.

Come si può notare, l’effettuazione consapevole di un trattamento pindasveda dev’essere considerata una tecnica avanzata di ayurveda, in quanto richiede conoscenze piuttosto sofisticate:
  • individuazione dell’olio medicato per lo snehana iniziale e per il massaggio di viso  testa, secondo la prakruti e la vikriti del ricevente;
  • conoscenza delle manualità necessarie per effettuare uno snehana e un massaggio del viso e della testa (mukhashiroabhyangam)
  • profonde conoscenze fitoterapiche per individuare le erbe adatte per preparare il masthiskya e i potali;
  • conoscenza dei punti marma ed eventualmente di quelli dell’agopuntura (o almeno dei meridiani) per applicare i potali con la massima efficacia possibile.

Non si tratta perciò di una tecnica banale, acquisibile in poche ore di training, sempre che la si voglia applicare consapevolmente.
Esaminiamo ora dettagliatamente le varie fasi del trattamento.

4. Lo snehana preparatorio

In termini occidentali, lo snehana preparatorio ha fondamentalmente due funzioni. Innanzi tutto ungere la superficie del corpo in modo che si crei una pellicola protettiva per la pelle (specialmente se i pindasveda vengono effettuati su un soggetto “vata”), e il calore dei potali dia una sensazione di uniformità.
La seconda funzione è quella di indurre un profondo rilassamento nel ricevente, in modo che vata venga diminuito e rallentato e si riduca l’eventuale congestione degli srotas. Inoltre il massaggio migliora la circolazione, attiva agni e quindi intensifica l’azione diaforetica dall’interno, contribuendo all’eliminazione di aam.
Secondo la tradizione ayurvedica, lo snehana attenua i dosha alterati li separa dal loro substrato (gli organi) e facilita il loro posizionamento negli organi toracici e addominali (polmoni, stomaco, intestino) da cui verranno definitivamente eliminati tramite il panchakarma.
Lo snehana preparatorio, non avrà perciò le caratteristiche di un massaggio analitico dei vari segmenti corporei (non è un abhyanga!), quanto piuttosto di un’oliazione dell’antica tradizione del nord, effettuata con manovre lunghe, avvolgenti, con direzione energetica dalla periferia al centro. Si svolgerà prevalentemente in posizione supina[3] e verrà effettuato con olio specifico per la prakruti e la vikriti del ricevente o, in mancanza, con olio tridosha.

In sostanza, trattandosi di uno snehana che mira a diminuire vata e a convogliare i dosha in eccesso verso stomaco e polmoni, se si esegue soltanto in posizione supina potrà essere utile eseguire una sequenza con il seguente ordine:
  • braccia
  • torace
  • addome
  • piedi
  • gambe
  • addome
Se invece si eseguono anche alcune manualità in posizione prona (de effettuare prima di quella supina) sarà utile lavorare adeguatamente la zona dei paravertebrali, e della parte posteriore della gamba (anche con palmo e digitopressioni), per attivare l’energia del meridiano di vescica urinaria e rendere perciò ancora più efficace l’azione diaforetica.
Potrebbe anche essere utile, sulla base dei principi fisiologici del drenaggio linfatico, effettuare un pompaggio preparatorio delle stazioni linfatiche principali.

5. Il massaggio della testa

Nell’esecuzione tradizionale il paziente va fatto sedere e viene effettuato il mukhashiroabhyangam nello stile del Kerala, seguito da masthiskya. Quest’ultima è una fasciatura integrale della testa effettuata dopo averla spalmata di pasta di amalaki (Emblica officinalis) per uno spessore di circa ½ cm. Spesso nell’ayurveda classico il paziente viene completamente rasato prima di iniziare il trattamento in modo che masthiskya venga posta direttamente a contatto con il cuoio cappelluto.
In un’esecuzione “occidentale”, che tenga conto delle particolari esigenze dei nostri pazienti e della loro diversa sensibilità, il massaggio del viso e della testa va effettuato in modalità abbreviata rispetto al mukhashiroabhyangam classico, sia per non rischiare un’eccessiva concentrazione energetica nella zona alta del corpo, sia per non allungare eccessivamente la durata complessiva del trattamento.
Il mukhashiro parziale può essere effettuato in posizione seduta o in posizione supina (più gradevole per il ricevente occidentale medio). Dev’essere eseguito con olio di amla [4] o di cocco, che sono specifici per il massaggio della testa e hanno effetto rinfrescante. Infatti è importante che durante il trattamento pindasveda la testa rimanga comunque più fresca del resto del corpo. Può essere opportuno ripartire 8/10 minuti di massaggio dedicandone la metà al viso e metà alla testa, il cui massaggio è particolarmente rilassante.
Al termine del massaggio,  i capelli dovrebbero restare intrisi nell’olio; se il paziente non vuole ungere i capelli si effettuerà il trattamento della testa a secco e poi si ungerà leggermente il viso per massaggiarlo. In  ogni caso è necessario almeno avvolgere la testa in un asciugamano umido e fresco.[5]

6. Massaggio con i potali medicati

L’esecuzione del trattamento con i potali prevede quattro tipologie di tecniche:
  • manovre di massaggio a manualità strisciata
  • manovre circolari sulle articolazioni
  • manovre di tamponamento (utilizzate specialmente nel caso in cui si debbano trattare tipi “pitta”, per cui, in sé, le tecniche diaforetiche sarebbero sconsigliate, tranne nei casi di sama pitta;
  • posizionamento statico su punti specifici del corpo (marma o chakra).

Presento tre diverse modalità esecutive utili per diverse situazioni:
  • l’esecuzione tradizionale del Kerala
  • un’esecuzione “occidentale” che enfatizza la funzione di drenaggio linfatico
  • un’esecuzione “orientale” che enfatizza il lavoro bioenergetico

6.1 Esecuzione tradizionale del Kerala

In India il trattamento viene solitamente eseguito da più operatori (fino a 5), di cui uno si occupa di sostituire e tenere caldi i fagottini e gli altri, mettendosi a coppia sui due lati del paziente, li applicano.
Il trattamento viene effettuato facendo assumere successivamente al paziente ben 7 posizioni diverse:
  • seduto
  • supino
  • fianco sinistro
  • fianco destro
  • prono
  • di nuovo supino
  • di nuovo seduto

La modalità più antica
Per quanto riguarda l’esecuzione specifica delle manualità, vi sono almeno due scuole diverse. I maestri che lavorano in modo più “antico” effettuano tutte le manualità dall’alto verso il basso, con direzione centrifuga rispetto al cuore, aumentando la pressione man mano che si scende sugli arti. Su articolazioni, viso. collo e spalle si effettuano movimenti circolari. Vengono effettuate tre passate complessive, ognuna a pressione e calore crescente.
Si tratta di una modalità controlinfatica, che sembrerebbe avere più che altro obiettivi di scarico energetico. Non appare adeguata agli obiettivi specifici del pindasveda, ossia il convogliamento di ama nelle zone di successiva espulsione.

La modalità più moderna
I maestri di formazione più recente utilizzano invece un altro genere di manualità:
  • dapprima lunghi drenaggi in direzione linfatica
  • successivamente manovre corte di “va e vieni” (quasi frizioni locali) effettuate comunque in direzione linfatica
  • manovre circolari e tamponamento sulle articolazioni

La tecnica specifica utilizzata per il trattamento è naturalmente oggetto di uno specifico corso

Questo stile di trattamento merita un breve commento.

La presenza contemporanea di 4 terapisti (due per lato) o almeno di 2 (uno per lato), non va considerata il vezzo di un paese dove la manodopera costa poco, ma, vista alla luce di quanto è stato detto sulla circolazione energetica, ha una grande importanza.
In questo modo, infatti, la circolazione della bioenergia, piuttosto che essere “in verticale” lungo l’asse piedi-testa o testa-piedi, risulta centripeta, cioè diretta dalla superficie del corpo verso l’interno e riuscendo perciò molto meglio a condensare ama nelle zone di espulsione.
In occidente, dove spesso il trattamento viene eseguito da un solo operatore, è necessario tenere conto di queste osservazioni e, almeno quando si lavora la zona del torace e dell’addome, si dovranno tenere due potali contemporaneamente: uno per lato, al fine da spingere l’energia termica verso l’interno del corpo.

6.2 Esecuzione “drenante” all’occidentale

Nelle scuole ayurvediche esistenti in occidente, invece, il trattamento viene semplificato e si tiene conto delle nozioni espresse da Vodder in tema di linfodrenaggio; perciò le manovre vengono effettuate seguendo l’andamento del flusso linfatico, per valorizzare al massimo gli effetti drenanti.
Vengono comunque effettuati almeno 3 passaggi, aumentando il calore dei potali ad ogni passaggio.
Non è necesario far assumere al paziente sette posizioni consecutive. Più semplicemente il massaggio si gestisce come un normale trattamento drenante (prima in posizione prona e poi supina). In generale la sequenza dovrà essere centripeta, in modo da portare ama verso il centro del corpo.

6.3 Esecuzione orientale bioenergetica

Nelle scuole ayurvediche più avanzate e sensibili al lavoro bioenergetico, si insegna anche ad effettuare il trattamento pindasveda con una modalità molto più tecnica e complessa, che mira al raggiungimento di obiettivi in parte diversi rispetto alla semplice concentrazione di ama nelle zone di espulsione.
In questa tipologia di trattamento, vengono lavorati con i potali i meridiani e i punti energetici (marma, punti di agopuntura e punti kum nye) legati ad un particolare problema da risolvere. Ovviamente in questo modo non si ha più un trattamento standard, ma altamente personalizzato in funzione dei bisogni specifici del ricevente.
Questa modalità esecutiva richiede ovviamente una buona conoscenza del sistema bioenergtico e delle funzioni svolte dai singoli meridiani e punti che non può ovviamente essere oggetto di studio in questo contesto.
Con questa modalità il trattamento può anche essere eseguito da solo, salvo lo snehana preparatorio iniziale.

7. Bagno con erbe medicate

Il bagno post-trattamento va effettuato in acqua tiepida. Possono essere utilizzati semplici sali rilassanti. Se si vuole un’azione più specifica, possono essere usate erbe (o olii aromatici) alterative (per eliminare tossine) [6], toniche (nel senso ayurvedico del termine, ovvero “nutritive” dei tessuti) [7], emollienti (con effetto calmante ed ammorbidente sulla pelle e sulle mucose) [8].
Molto spesso le erbe utilizzate nel bagno sono le stesse che erano state messe nei potali, per potenziare ulteriormente l’effetto del trattamento.

8. Periodo di rilassamento finale

Deve avvenire in una stanza ben aerata, a temperatura confortevole. Il paziente va tenuto coperto in modo che possa rimanere al caldo e all’asciutto. La luce dev’essere notevolmente attenuata, possibilmente di colore blu, verde o turchese.
L’ideale sarebbe il silenzio assoluto, ma può essere accettabile anche una blanda sonorizzazione ambientale con suoni naturali e/o stimolazioni musicali poco strutturate.
L’eventuale esecuzione di mantra durante questa fase fa evolvere il trattamento verso le vere e proprie tecniche di meditazione, con effetti energetici e spirituali.
La mantrizzazione va guidata dall’operatore. Il paziente può cantare a sua volta il mantra; il volume del canto si spegne progressivamente e il mantra viene interiorizzato e cantato mentalmente.
Soprattutto i tipi vata devono cantare il mantra più interiormente che fisicamente, perché il canto fisico del mantra ne esaurisce rapidamente le energie.
Un discorso molto più complesso – a cui è possibile fare solo un rapido cenno – riguarda invece il tipo di mantra da utilizzare. La questione, di per sé, è di competenza della psicologia yogico-tantrica. Qui mi limito a due idee.
Innanzi tutto, almeno solitamente, i trattamenti pindasveda vengono effettuati per abbassare kapha ed eventualmente anche vata. Proprio per questo i pazienti che si sottopongono a trattamento pindasveda presentano spesso squilibri con il primo chakra (terra), il secondo (acqua) ed il terzo (fuoco, quasi sempre carente). Per questa ragione può essere indicata la recitazione dei bija mantra relativi a questi tre chakra, e precisamente:
  • 1° chakra – LAM
  • 2° chakra – VAM
  • 3° chakra – RAM

Un mantra specifico per kapha è HUM. [9]

9. Olii per lo snehana preparatorio

Lo snehana è una tipica tecnica di unzione dove si fa uso di olio in quantità superiore rispetto ad un normale abhyangam; la sostanza utilizzata per il massaggio diviene perciò di particolare importanza e la sua preparazione dev’essere molto accurata.
Le basi tradizionali per lo snehana sono le seguenti:
  • Vata – sesamo
  • Pitta – 50% ghee, 50% sesamo
  • Kapha – 25% ghee, 75 % sesamo

Sia olio che ghee debbono essere usati caldi; il ghee va sciolto prima a parte (senza bruciarlo!) e poi gli va aggiunto il sesamo.

9.1 Integrazione aromatologica

Benchè - è bene ricordarlo - l'ayurveda non faccia uso di olii essenziali, agli utenti occidentali è gradito integrare le basi sopra riportate con alcuni olii essenziali. La scelta dev’essere effettuata in base all’obiettivo che si vuole raggiungere con il trattamento. In generale, sappiamo che i pindasveda vengono effettuati per purificare gli srotas e quindi sono molto indicati gli olii alterativi e diaforetici. Tuttavia, specialmente se si effettua il trattamento con modalità bioenergetica, non tradizionale, può essere utile aggiungere olii carminativi (per favorire la digestione e l’aumento di agni), emmenagoghi (per favorire le mestruazioni), nutrienti (per tonificare i tessuti) o nervini (per regolare il sistema nervoso).
Forniamo di seguito una tabella che non vuole affatto essere esaustiva. [10]
Anche in questo caso la trattazione analitica degli O.E. da utilizzare è oggetto di studio nel corso specifico
      
9.2 Olii medicati

Al posto delle basi, anche opportunamente arricchite con olii essenziali, lo snehana può essere effettuato con olii ayurvedici medicati. Anche in questo caso la scelta dovrà essere effettuata in base all’obiettivo:

  • Olio specifico per vata (vata padma): riscaldante, nutriente
  • Olio specifico per pitta (pitta padma): rinfrescante, purificante
  • Olio specifico per kapha (kapha padma): riscaldante, diaforetico
  • Olio Ashwagandha: rilassante mentale, nutriente per il corpo e la pelle, anabolico. Ideale per vata.
  • Olio Dhanvanthara: grande classico anti-vata, con effetto su dolori articolari e rilassamento.
  • Olio Narayana: particolarmente adatto per calmare gli stati di sovraeccitazione mentale.
  • Olio Karpooradi: specifico per dolori articolari e per favorire la  diaforesi. Ideale per kapha.

10. Olii e paste per il trattamento della testa e del viso

Per il massaggio della testa possono essere utilizzati i seguenti olii base:
  • Olio di Sesamo (vata e kapha)
  • Olio di Cocco (pitta)
  • Olio di Amla (pitta)
  • Olio di Sandalo (pitta)

Se invece si vuole ricorrere ad olii medicati della tradizione ayurvedica si possono utilizzare i seguenti:

  • Olio Narayana (vata)
  • Olio Pinda (vata)
  • Olio Dhanvanthara (vata)
  • Olio Dashamula (vata)
  • Olio Asanavbilvadi (vata)
  • Olio Kshirabala (kapha)
  • Olio Amavathahara (kapha)
  • Olio Kottumcukadi (kapha) [11]

10.1 Paste per masthiskya

Per l’effettuazione di masthiskya vi sono, nella tradizione ayurvedica, varie ricette. Ne proponiamo tre:
  • Amalaki Takra Dhara (burro medicato all’amla)
  • Pasta di erbe attivanti al burro di amalaki
  • Pasta di erbe attivanti

Amalaki Takra Dhara
  • 1 tazza di latte intero
  • 2 tazze d’acqua
  • 1 tazza di amla in polvere (Emblica officinalis, PV-, K=)
Mescolare latte e acqua e cuocere a fuoco lento finché il composto non raggiunge i 40°. Togliere dal fuoco e aggiungere la polvere di amla mescolando bene con un cucchiaio di legno finché la polvere si amalgama bene. Versare in un contenitori, coprirlo con un asciugamano e lasciarlo riposare per 12 ore a una temperatura tra i 24° e 27 ° finché il preparato diventa una crema densa simile al burro.
La parte che non verrà usata per il trattamento dovrà essere conservata in frigorifero e può essere consumata ai pasti per abbassare vata.

Pasta al burro di amalaki
  • ½ tazza di amalaki takra dhara
  • 4 cucchiai di sandalo in polvere (santalum album, PV-, K=)
  • 2 cucchiai di loto in polvere (nelumbo nucifera, PV-, K+)
  • 1 cucchiaio di bambù in polvere
  • 1 cuchiaio di musta in polvere (cyperus rotundus, PK-, V=)
  • 2 cucchiai di acqua calda
Per peparare la pasta è sufficiente aggiungere al burro di amalaki le quattro polveri e l’acqua calda, mescolando bene fino ad ottenere una pasta omogenea. La pasta va applicata immediatamente dopo la  preparazione. Se si tratta un tipo pitta lasciare raffreddare la pasta prima di applicarla.

Pasta di erbe attivanti
  • 1 tazza abbondante di sesamo in polvere (sesamum indicum, V-, PK+)
  • 2 cucchiaini di cannella in polvere (cinnamomum zeylanicum, VK-, P+)
  • ½ tazza di bala in polvere (sida cordifolia, VP-, K=)
  • 1 cucchiaio di shatavari in polvere (asparagus racemosus, PV-, K+)
  • 2 cucchiaini di punarnava in polvere (boerhaavia diffusa, PK-, V+)
  • 1 cucchiaio di senape in polvere (brassica alba, VK-, P+)
  • 1 cucchiaio di cardamomo in polvere (elettaria cardamomum, VK-, P+)
  • 1 tazza di acqua calda (o più se necessario)
Sesamo, senape e cardamomo possono anche essere in semi e dovranno essere pestati al mortaio o macinati nel suribachi.
Le polveri devono essere ben mescolate e amalgamate fra loro. Poi si uniscono progressivamente con l’acqua mescolando sino ad ottenere una pasta soffice.

11. Le piante per il trattamento pindasveda

Per effettuare la parte più specifica del trattamento pindasveda (il massaggio con i potali caldi) è necessario preparare i sacchettini con composti di piante diaforetiche. Esse agiscono sul sistema tegumentario e, dato che l’energia difensiva, sia per l’ayurveda che per la MTC, scorre sulla superficie del corpo, è corretto affermare che le piante diaforetiche stimolano tale energia.
In generale, gli effetti delle piante diaforetiche sono i seguenti:

  • stimolano la sudorazione
  • alleviano la tensione muscolare
  • leniscono i dolori articolari
  • abbassano le febbri dovute a fattori esterni
  • provocano eruzioni cutanee risolvendo revulsivamente stati infiammatori cutanei
  • possono alleviare le cefalee da freddo e da stati congestizi.

Tuttavia, secondo la fitoterapia ayurvedica, esistono due tipologie di piante diaforetiche: quelle raffreddanti e quelle riscaldanti. Il principio di azione delle due classi di erbe è del tutto diverso.

11.1 Piante diaforetiche raffreddanti

Le piante diaforetiche raffreddanti (bardana, camomilla, coriandolo, crisantemo, equiseto, eupatorio, gattaria, marrubio, menta piperita, menta spicata, millefoglio, sambuco) sono spesso erbe dal rasa amaro e/o pungente, che fanno diminuire pitta e kapha ma aumentano vata. Spesso sono anche diuretiche e alterative.[12] Possono anche avere un’azione purificatrice sul fegato e sul sangue.
Naturalmente, essendo piante a virya raffreddante, non ha senso usarle per effettuare tecniche di fomentazione che ne prevedono il riscaldamento.

11.2 Piante diaforetiche riscaldanti

Le diaforetiche riscaldanti (che sono la maggioranza), presentano speso rasa pungente. Sono per lo più stimolanti, espettoranti, dotate di proprietà antiasmatiche e antireumatiche. Alleviano kapha e vata, ma aggravano pitta. Ottengono l’effetto innalzando la temperatura del corpo ed eliminando il freddo. Agiscono in primo luogo su polmoni e sistema respiratorio; sgombrando i seni nasali dal muco contribuiscono ad aumentare il prana assimilato, acuendo e stimolando i sensi e il sistema nervoso.
In generale, l’assunzione di piante diaforetiche, sia riscaldanti che raffreddanti dev’essere accompagnata da un bagno caldo e seguita da riposo al caldo asciutto e da digiuno. A maggior ragione quando l’effetto riscaldante viene potenziato tramite la fomentazione.
Tipiche piante diaforetiche riscaldanti, utilizzabili per la preparazione del trattamento pindasveda sono: angelica, asaro canadese, bacche di ginepro, basilico, canforo, cardamomo, chiodi di garofano, cinnamomo (cannella), efedra, eucalipto, salvia, tamarisco, timo, zenzero.

Ecco alcune brevi indicazioni sulle più comuni fra esse.[13]

Angelica - Esiste in molte specie. Quella cinese e quella indiana, oltre alle proprietà diaforetiche e antireumatiche produce anche effetti tonici che la specie europea possiede in misura minore. È un ottimo emmenagogo, ha anche proprietà antiartritiche e stimola la circolazione. La parte usata è la radice. Va usata con cautela in gravidanza e in caso di ipertensione.
Basilico - Pianta considerata sattvica, tenuta in massimo onore in India, quasi come il loto. La pianta assorbe gli ioni positivi ed energizza quelli negativi, purificando e ozonizzando l’aria. È un febbrifugo, rimuove l’eccesso di kapha dai polmoni e dalle vie nasali, libera il colon dall’eccesso di vata e favorisce l’assorbimento. Come bevanda, assunto con miele, stimola la chiarezza mentale.
Cardamomo - È uno dei più efficaci stimolanti della digestione. Stimola samana vata (digestione e intestino tenue), attiva agni e rimuove kapha da stomaco e milza. Ideale per i disturbi digestivi di origine nervosa (specialmente nei bambini) e, in generale, in caso di vata elevato. Si combina ottimamente con il finocchio. Arresta vomito, rigurgiti acidi ed eruttazione. La parte utilizzata è il seme.
Chiodi di garofano. - Sono uno stimolante per polmoni e stomaco e disinfettano le vie linfatiche. È energizzante, ma, essendo rajasiko, può essere irritante. L’olio essenziale, volatile, è un analgesico piuttosto potente. L’uso è controindicato in caso di ipertensione e stati infiammatori. La parte utilizzata sono i fiori in boccio essicati.
Cannella - È un ottimo stimolante e armonizzante della circolazione (vyana vata) con buone proprietà diaforetiche ed espettoranti; riscalda i reni, alimenta agni ma aumenta pitta meno dello zenzero. Promuove la digestione e aiuta ad assimilare i farmaci. Non dev’essere utilizzato in presenza di disturbi con perdita di sangue. La parte utilizzata è la corteccia.
Ginepro - Le bacche sono un ottimo diuretico negli stati vata, in quanto ne eliminano l’eccesso e migliorano la digestione. Sono efficaci per kapha ma aggravano pitta e possono risultare irritanti; per questo vengono spesso usate insieme ad altri diuretici (per es. altea o goksura) per contrastarne gli effetti nocivi. Nell’uso esterno (specialmente soto forma di pasta) leniscono dolori e gonfiori artritici. Non va utilizzato in caso di nefrite acuta, cistite e gravidanza.
Salvia - Utilizzata fredda è diuretica e astringente, mentre calda è diaforetica ed espettorante. In generale riduce le secrezioni corporee, essica il muco delle vie respiratorie e diminuisce la salivazione. Non va utilizzata in caso di vata elevato e durante l’allattamento, in quanto sopprime le secrezioni mammarie. La parte usata è la foglia.
Zenzero - Lo zenzero essicato è un migliore stimolante ed espettorante, riduce kapha e aumenta agni. Fresco è un migliore diaforetico ideale per squilibri vata. Ottimo per la cura dei disturbi digestivi e respiratori. Indicato per condizioni artritiche fa diminuire gas e crampi addominali. Nelle applicazioni esterne viene usato sotto forma di pomata per dolori e mal di testa. La parte usata è il rizoma.

12. Ricette per il trattamento pindasveda

Gli ingredienti  più semplici che si possono utilizzare per effettuare un trattamento pindasveda sono l’argilla e il sale grosso, meglio ancora se si tratta di sale di roccia dell’Himalaya. Potali pieni di argilla o di sale hanno buone capacità igroscopiche e sono facili da preparare. Ovviamente si perde l’eventuale effetto benefico specifico delle erbe.

12.1 Formula-base tridosha:

Si tratta di una formula aspecifica dal punto di vista terapeutico, che fa uso di erbe riequilibranti per tutti e tre i dosha. È costituita dalla triphala churna, una ben nota composizione di tre erbe, largamente utilizzata in ayurveda:
  • Amalaki (emblica officinalis PV- K=)
  • Haritaki (terminalia chebula VK- P=)
  • Bibhitaki (terminalia belerica KP- V=)
  • Lavanda (lavandula officinalis PK- V=)

L’utilizzo della lavanda è facoltativo, qualora si desideri aggiungere un profumo gradito e dall’effetto rilassante sul quarto chakra con azione diaforetica ed antipiretica. Come si nota dalle caratteristiche delle tre erbe principali, si tratta di un composto perfettamente bilanciato, che non aggrava alcun dosha, ma, con azione sinergica, li allevia tutti.

12.2 Formula anti-vata:

È una formula specifica per ridurre vata e, in minore misura, kapha. Aumenta sensibilmente pitta; per questa prakruti è sconsigliato l’uso.
  • Zenzero g. 250 (Zingiber officinale, VK- P+)
  • Ajamoda g. 250 (Carum roxburghianum KV- P+)
  • 4 tavolette di Jivanshakti
  • 8 tavolette di Vatna
Jivanshakti e Vatna sono due fitopreparati ayurvedici già in pastiglie, che contengono molti principi attivi. Per la precisione:

Jivanshakti: (Tinospora cordifolia – stelo / Tribolo – frutto / Mela cotogna – frutto / Uraria picta – radice / Solanum indicum – radice / Gmelina arborea – radice / Stereospermum suaveolens / Oroxylum indicum – radice / Premna integrifolia – radice / Desmodium gangeticum – radice / Solanum xantocarpum – radice / Sida cordifolia / Leptadenia reticulata – radice).

Vatna: balsamodendron mukul – resina / mirabolano – frutto / amla – frutto / terminalia belerica – frutto / paederia foetida – radice / zenzero – radice / vitex negundo – foglia / tribolo – frutto / pluchea lanceolata – foglia / cyperus rotundus – radice / argyreia speciosa – radice / fagonia arabica – radice / sida cordifolia / allium sativum – bulbo / pino – corteccia / zeodaria – radice / premna integrifolia – radice / noce malabar – foglia / piper chaba hunter – rdice / boerhaavia diffusa / aneto – seme / garcinia pedunculata – foglia / asparago – radice / coriandolo – seme / solanum indicum – radice / pepe lungo – frutto / barleria prionitis / solanum xanthocarpum – radice.

Solitamente, quando viene effettuato il trattamento pindasveda con funzione anti-vata, lo snehana iniziale viene effettuato con olio di sesamo addizionato con olio samavatak, un particolare olio medicato contro vata. [14]

12.3 Formula diaforetica

Se si desidera ottenere un potente effetto diaforetico anti-kapha con forte riduzione anche di vata, si può utilizzare la seguente formula:
  • Zenzero (Zingiber officinale VK-, P+)
  • Cannella (Cinnamomum Zeylanicum VK-, P+)
  • Ginepro (Juniperus communis KV-, P+)
  • Noce moscata (Myristica fragrans VK-, P+)
  • Canforo (Cinnamomum camphora KV-, P+)
  • Sale dell’Himalaya (VK-, P+)
  • Senape (Brassica alba KV-, P+)
Si tratta di un composto che innalza molto pitta e quindi è del tutto sconsigliato per questo dosha. Evitare il ginepro in presenza di ipertensione. Nei vata già molto secchi la formula crea troppa disidratazione.

12.4 Formula siddha per dolori articolari

La tradizione medica siddha, dell’India meridionale, fa uso della seguente ricetta per il trattamento, mediante pindasveda, dei dolori articolari. Ecco la formula per 4 potali.
  • Anethum graveolens (Aneto) g. 100 (PK- V=)
  • Sale dell’Himalaya g.40 (VK-, P+)
  • Curcuma longa (Curcuma) g. 40 (KV- P=)
  • Allium Sativum (Aglio fresco) g. 60 (VK- P+)
  • Limoni n.8 (PV- K=)
  • Tuorli di uova sode n.8
Gli ingredienti, adeguatamente macinati, devono essere cotti in poco olio di semi di girasole per 3 minuti.

12.5 Formula per il Navarakhizhi
Il “navarakhizhi” è una versione di pindasveda molto praticata in India, ma, purtroppo, piuttosto laboriosa da realizzare in un contesto occidentale, in quanto richiede una preparazione lunga che ne fa crescere sensibilmente il costo. Gli ingredienti sono i seguenti:
  • Bala 250 gr. (sida cordifolia)
  • Acqua 4 l.
  • Latte intero 2 tazze
  • Riso integrale ¾ di tazza (meglio la qualità “navara”, da cui il nome). Il riso può anche essere frantumato per velocizzare la creazione della pasta medicata.

La ricetta, così com’è, è indicata per vata. Nel caso di pitta sostituire il riso con chicchi di grano, mentre nel caso di kapha sotituirlo con orzo perlato [15].
Si porta ad ebollizione l’acqua a cui si aggiunge la polvere di Bala, facendola bollire lentamente a fuoco medio per circa 4 ore, finché ¾ circa del liquido sia evaporato. Colare il composto con un colino fine. Dovrebbero rimanere circa 4 tazze di liquido. Due vengono tenute da parte, mentre altre due sono utilizzate subito.
Unire il latte a due tazze di decotto, portare a ebollizione  e aggiungere il riso facendo bollire per almeno un’ora, finché il riso non assume la consistenza di una pasta (payasam).
Riempire 4 potali con il composto ottenuto. Durante il trattamento tenerli costantemente in caldo immergendoli nelle due tazze calde di decotto di Bala che sono state messe da parte.
Con dosi doppie di ingredienti si possono fare 8 potali, di cui 4 sempre in caldo nel decotto e 4 utilizzati sul corpo del paziente. In questo modo il trattamento assume maggiore continuità e fluidità.
Come nei pindasveda con le erbe, al termine del trattamento i potali vengono aperti e il paziente massaggiato direttamente con la pasta medicinale su tutto il corpo.


[1] Ashtanghrydaya

[2] La ricetta per l’effettuazione del bendaggio “masthiskya” viene proposta più avanti.

[3] L’ayurveda tradizionale non si preoccupa molto se il paziente deve assumere svariate posizioni durante il trattamento, passando ripetutamente da supino, a prono, a seduto. La massoterapia occidentale è invece assai più attenta ad ottimizzare le posizioni del ricevente, riducendo al minimo i cambiamenti. Va tenuto presente che, con pazienti di cultura occidentale, il frequente cambio di posizione disturba e non consente di ottenere il rilassamento profondo che costituisce una delle chiavi per ottimizzare l’effetto dei pindasveda.

[4] Emblica officinalis.

[5] Tuttavia occorre “educare” i riceventi a comprendere che il trattamento pindasveda non è un giochino alla moda da eseguire come loro preferiscono, ma un trattamento terapeutico che ha senso e valore nella misura in cui viene rispettato un protocollo rigoroso.

[6] Per es. aloe, bardana, dente di leone, sandalo, trifoglio, violetto.

[7] Per es. altea, amalaki, angelica, bala, carrageen, dattero, ginseng, liquirizia, mandorla, noce di cocco, olmo scuro, radice di consolida maggiore, shatavari, semi di lino, semi di loto, semi si sesamo, sigillo di Salomone, spigonardo, uva.

[8] Altea, capelvenere, carrageen, centonchio, liquirizia, olmo scuro, radice di consolida maggiore, sale del bambù, semi di lino, sigillo di Salomone.

[9] Interessante notare che, anche per la MTC, e precisamente nella pratica del Qi Gong dei suoni, la sillaba  HU è associata al meridiano di milza/pancreas, che è esattamente un meridiano terra, tipicamente in squilibrio in tutti gli stati kapha.

[10] Si consiglia vivamente agli operatori ayurvedici di includere nella loro formazione professionale un serio corso di aromatologia ayurvedica.

[11] L’estrema complessità erboristica di questi olii ne sconsiglia la preparazione in proprio. Alcuni di questi possono essere acquistati presso rivenditori di prodotti erboristici ayurvedici.

[12] Nella fitoterapia ayurvedica si dicono “alterative” le piante che hanno un’azione purificante, detossinante e, spesso, antiinfettiva e antibatterica.

[13] Ci limitiamo a trattare brevemente degli effetti fisici delle erbe esaminate, trascurando quelli di tipo energetico ed aurico che possono essere oggetto di indagine soltanto in uno specifico corso di fitoterapia ayurvedica.

[14] Di per sé, il “samavatak oil” può essere usato anche da solo, in quanto è già a base di sesamo. Lo si diluisce più che altro per limitare i costi. Si tratta di un olio utilizzabile anche per uso alimentare, nella dose consigliata di 1 cucchiaino al dì. La ricetta del “samavatak oil” è complessa. Gli ingredienti sono: olio di sesamo, Pluchea Lanceolata, Vitex Negundo, Cedrus Deodara, Waleriana Wallicchi, Acorus Calamus Foglia, Vetiveria Zizanioides, Asphaltum, Asparagus Racemosus, Desmodium Gangeticum, Uraria Picta, Curcuma Zedoaria, Picrorhiza Kurroa, Barleria Prionitis, Boerhaavia Diffusa, Elettaria Cardamomum, Glycyrrhiza Glabra, Sida Cordifolia, Cloruro di sodio.

[15] L’orzo perlato, anche nell’uso alimentare, ha qualità che facilitano il metabolismo dei grassi.




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