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Vie, saperi, religioni

Studio Lacchini - formazione culturale - percorsi evolutivi
Pubblicato da Luigi Lacchini in filosofia occidentale · 14 Ottobre 2007
Tags: viasaperereligioneepistemologia
Che differenza c’è tra una via, un sapere o una religione?

La religione

Una religione ti chiede di effettuare preventivamente un atto di fede. Ti chiede di credere in un certo numero di “verità” che qualificano la religione stessa. Più precisamente, ti chiede di neutralizzare tutti gli schemi, gli atteggiamenti, le abitudini, le maschere, che non sono congruenti con le verità religiose e di assumere tutte e solo le strutture mentali, caratteriali e operative proprie del gruppo religioso a cui vuoi appartenere. Nel cattolicesimo, per esempio, si recita appunto il “credo”, la formulazione esplicita delle verità che si accettano come rivelate e di cui la struttura religiosa ecclesiastica si proclama garante. La formulazione è esplicita.
Il celebrante rivolge una serie di domande del tipo: “Credete voi che…?” e il popolo o il singolo rispondono: “Io credo”.
I cosiddetti “ricercatori spirituali” che si scagliano contro le religioni come se fossero il male oscuro da cui ci si deve innanzi tutto liberare, non comprendono il punto nevralgico di questa scelta esistenziale: l’affidarsi.
Il primo punto di ogni religione è l’affidamento fiduciale in qualcun altro. Non è un valore da poco! L’affidamento totale è il punto di forza di un bimbo. È ciò che lo fa stare bene, senza alcun pensiero. La capacità di abbandono del credente è un valore immenso, che anche all’interno di una via sarà necessario riscoprire. Il devoto si abbandona fra le “braccia” del Dio in cui crede e, così facendo, si espropria (o si dovrebbe espropriare) del proprio ego, lascia che le proprie azioni siano guidate non dalla sua propria miope visione del mondo e della vita, ma da una logica superiore le cui trame egli non sempre comprende, ma della cui esistenza è “certo per fede”. All’interno di un affidamento religioso, non sempre si comprende il significato di ciò che accade nella vita, ma ci si affida alla certezza che, comunque, tale significato esista e sia in vista del bene. È il medesimo atteggiamento che spinge il praticante di una via a “stare nel flusso” delle energie universali o a seguire il proprio Guru.
Il verbo chiave dei percorsi religiosi è “credere”. Credere, in senso superficiale, significa accettare acriticamente delle verità, semplicemente perché un altro di cui ci fidiamo ce le propone. In senso più profondo, significa abbandonarsi in totale fiducia nell’energia vitale di un altro, lasciar cadere l’ego e la pretesa di controllare e dirigere l’esistenza.

Il sapere

Un “sapere”, come ad esempio la scienza, o la filosofia, ti chiede di cercare, almeno all’inizio della tua ricerca, di essere il più possibile “vuoto” da pregiudizi, preconsiderazioni, credenze, abitudini di pensiero, ecc. Su questo aspetto il sapere è una prospettiva opposta all’atteggiamento religioso. Il sapere chiede di “non credere”, o, almeno, di mettere tra parentesi ciò in cui credi. Certamente è del tutto impossibile “svuotarsi” in senso assoluto. Noi siamo immersi in una cultura, in un linguaggio, in abitudini di vita, in un ambiente che inevitabilmente condiziona la nostra visione del mondo prima che ci mettiamo in ricerca, e i saperi ci chiedono semplicemente di rimanere aperti al nuovo, di far sì che le armature psicologiche e cognitive che abbiamo addosso non ci condizionino al punto tale da non lasciarci fare alcuna nuova esperienza. La filosofia è particolarmente abile nello smontare i preconcetti, nel mandare in crisi le convinzioni assunte per abitudine
Una volta raggiunto questo atteggiamento di apertura, i saperi cercano di elaborare modelli esplicativi della realtà, costruiti su base razionale. Tali modelli “scientifici” non hanno la pretesa di dire “la realtà è fatta così e così” (questo è invece ciò che crede la gente), ma semplicemente vogliono dire che “la realtà funziona ‘come se’ fosse fatta così e così”.
Questo è un punto nevralgico. La scienza “onesta” non ha affatto la pretesa di rivelare “verità oggettive” sullo stato della realtà, ma semplicemente di trovare dei modelli congruenti per descriverla e poter operare su di essa. Lo scopo dei modelli scientifici e di qualsiasi altro sapere è prevalentemente funzionale: mettere ordine nel caos e consentirci di “fare qualcosa” con la realtà che ci circonda. Trovare i mezzi e i protocolli adeguati per raggiungere certi fini. I saperi razionali non hanno l’intenzione e la pretesa (non dovrebbero averla!) di affermare come è fatta la realtà o quali siano gli obiettivi a cui dobbiamo mirare, ma solo di fornirci strumenti adeguati per raggiungerli, nell’ambito del mondo fisico in cui siamo incarnati.
I cosiddetti “ricercatori spirituali” che si scagliano contro i saperi razionali e la “mente”, che sarebbero un ostacolo alla vera evoluzione spirituale, dimostrano solo la loro inconsapevolezza. Anzi, un profondo allenamento razionale a identificare pregiudizi, preconcetti, schematismi e luoghi comuni, un’abitudine mentale alla totale libertà di indagine e di ricerca, sono valori altissimi e presupposti essenziali per qualunque via spirituale.
Il verbo chiave dei percorsi cognitivi è “sapere”. Sapere significa essere aperti alle esperienze, analizzarle razionalmente, catalogarle sulla base di modelli, collegarle fra loro e renderle utilizzabili per strutturare processi operativi concreti. Si tratta di un lavoro prezioso e la mente razionale che lo effettua non è un nemico da abbattere, ma un dono di immenso valore. L’errore da evitare consiste semplicemente nel non chiedere ai saperi e alla mente razionale che li costruisce, di fare cose che non possono fare (per esempio determinare i fini dell’esistenza) o di operare in ambiti che non gli competono.

La Via

Una “via” è un percorso esistenziale che avviene attraverso un quotidiano “sperimentare”. Una via, all’inizio, ti chiede, come i saperi, di non credere. Esattamente come i saperi, una via ti chiede di neutralizzare le credenze, le opinioni, le maschere, le abitudini, gli schemi. In questo il percorso di una via è assai vicino all’atteggiamento scientifico. La differenza sta nel fatto che, mentre la neutralizzazione degli schemi richiesta dai saperi è solo di tipo cognitivo ed quindi effettuata attraverso un percorso di purificazione dei processi mentali razionali, la neutralizzazione degli schemi richiesta da una via è di tipo esistenziale e quindi molto più profonda e complessa, perché può avvenire solo grazie ad un processo di purificazione totale: del corpo, della psiche (sensi, mente razionale, emozioni, coscienza) e dell’energia.
Si può dire che la parte preponderante del percorso di qualunque via consista proprio e solo in questa purificazione: questa è la “sadhana”, il lavoro quotidiano fatto di gesti, tecniche meditative e tutto l’ampio bagaglio di azioni che hanno l’unico scopo di far venire allo scoperto le maschere, le resistenze, i blocchi, le formazioni reattive ecc.
Il verbo chiave per chi percorre una via è “com-prendere”. Qui, com-prendere non significa “capire”, ma “far entrare dentro di sé”. Ed è questa la differenza essenziale tra un sapere e una via. Nel caso del sapere le esperienze vengono portate dentro la dimensione mentale razionale e opportunamente catalogate; nel caso di una via le esperienze vitali vengono portate dentro il corpo, la mente (globalmente intesa) e l’energia. Nell’atteggiamento religioso le verità sono “oggettive” e vengono all’inizio del cammino, in quello cognitivo le verità sono sempre parziali e mutevoli e si incontrano e si lasciano durante il cammino, nel percorso di una via le verità sono strettamente soggettive e si manifestano da sole man mano che procede il processo di purificazione. Per questo una via non si può insegnare, ma solo testimoniare.
Man mano che il praticante di una via avrà delle profonde com-prensioni che gli sono entrate nelle cellule, in tutte le dimensioni della psiche e in tutte le strutture energetiche, la sensazione di chiarezza e di risveglio sarà talmente forte e rassicurante, che letteralmente si potrà abbandonare in essa con la stessa fiduciosa certezza con cui un credente si abbandona a Dio.



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