Mente e consapevolezza
Materiali
1. Cosa si intende per “mente” nella psicologia yogico-tantrica
Quando
la psicologia yogico-tantrica utilizza il termine “mente” non
intende affatto la sola razionalità logica (come spesso si crede),
ma l’intera complessità delle funzioni mentali. Nel mondo olistico
e della new age è consuetudine contrapporre “mente” a
“emozioni”, lasciando perciò intendere che con il primo termine
si intenda esclusivamente la mente razionale. Tutto ciò è assai
lontano dalla concezione psicologica vedica.
La
psicologia yogico-tantrica, già molti secoli prima dell'avvento di
quella occidentale, considera la “mente” come una struttura
complessa, costituita da varie funzioni:
- senso dell’ego,
- capacità di ricevere ed elaborare percezioni sensoriali,
- sensibilità emozionale,
- intelletto,
- intelligenza,
- memoria,
- coscienza profonda,
- inconscio,
- superconscio.
La
raffinatezza di questa rappresentazione è davvero notevole; in essa
trovano posto sia un'attenta distinzione fra l'intelletto (la
semplice capacità razionale) e l'intelligenza (la capacità di
penetrare in profondità l'essenza delle cose), che la dimensione
della supercoscienza, ossia la convinzione, maturata per via
esperienziale, attraverso la dimensione meditativa, che la mente sia
in grado di attingere a dimensioni coscienziali che trascendono
l'individualità.
2. Conoscere la natura della mente è un requisito per evolvere
La
psicologia yogico-tantrica ritiene che per intraprendere una
qualunque azione diagnostica e terapeutica in campo psicologico, così
come per impostare le linee di una “pedagogia spirituale” che
accompagni l’individuo a scoprire i percorsi che gli sono più
congeniali per camminare verso una maggiore consapevolezza e una
crescita spirituale, sia indispensabile costruire una mappa, un
“modello”, di ciò che intendiamo per “mente”. Diagnosi,
terapie, modelli antropogogici e percorsi spirituali muteranno in
funzione del nostro modo di percepire la mente.
La
comprensione della natura e struttura della mente è essenziale e
propedeutica a qualunque cammino di consapevolezza. Pensare di
intraprendere una qualunque via di maturazione spirituale senza
comprendere la natura della mente sarebbe come porsi il problema di
una meta da raggiungere in auto senza conoscere minimamente come
guidare l’auto. E nel cammino della propria evoluzione non può
guidare qualcun altro!
Poiché
ogni problema esistenziale viene filtrato ed elaborato attraverso
qualche funzione della mente (sia essa intelligenza, coscienza,
emozionalità, carattere, ecc.), la consapevolezza dei processi
mentali, la capacità di modificarli e guidarli è determinante per
affrontare qualunque situazione e trasformarla in occasione per
crescere.
3. Introspezione e auto-osservazione
Per
elaborare il proprio modello di mente la psicologia yogico-tantrica
utilizza come metodologia d’indagine l’introspezione e la
capacità di auto-osservazione del soggetto. Questo non deve né
stupire né essere considerato un problema. Lo sarebbe se si
richiedesse capacità auto-osservativa all'essere umano occidentale
medio di oggi, che è totalmente estrovertito e del tutto incapace di
percepire se stesso, se non in situazioni limite. Il mondo vedico, al
contrario, attraverso migliaia di anni di lavoro introspettivo,
effettuato nei più diversi stati di coscienza, e con tecniche
raffinatissime, ha messo a punto uno dei più sofisticati modelli
descrittivi della mente, da cui, consapevolmente o no, hanno attinto
alcune ricerche psicanalitiche occidentali (specialmente Jung) e
numerose scuole e pratiche di “psicologia umanistica”
contemporanea (per es. la psicosintesi di Assagioli e l’ipnosi
regressiva di Weiss).
Il
modello vedico-tantrico della mente si misura con alcuni fra i più
ardui problemi teorici, tra cui:
- Il rapporto tra mente e senso dell’identità
- La funzione dell’ego
- L’esistenza e il ruolo dell’inconscio
- L’esistenza e il ruolo del superconscio
- La struttura funzionale della mente e i rapporti tra le varie funzioni
- Il rapporto mente/corpo
- La trascendibilità o meno della mente
4. La mente come oggetto e strumento
“Cogito
ergo sum”
Questa
celeberrima frase di Cartesio, da molti ritenuta il manifesto del
razionalismo moderno e la bandiera stessa del soggettivismo,
sintetizza mirabilmente il modello occidentale di mente.
“Penso,
dunque sono”. Ovvero, in altre parole: io sono la mia mente. Per la
cultura occidentale la mente è dunque del tutto equivalente con
l’identità personale. Ciò che diciamo essere il nostro “io”,
ovvero la nostra capacità di pensare e la nostra capacità di essere
coscienti del fatto che pensiamo, costituiscono la nostra mente.
In
questa impostazione c’è già, implicita, una grave confusione che
– storicamente – ha poi condotto la filosofia occidentale verso
un cortocircuito teoretico*. La mente sembra essere
contemporaneamente tre cose:
- L’attività del pensare
- La coscienza che consente di rendersi conto dell’attività di pensare
- Il soggetto (ego) portatore della coscienza e del pensiero
Il
mondo orientale, da millenni era arrivato a conclusioni del tutto
diverse da quelle cartesiane. Attraverso un grande lavoro
introspettivo i saggi orientali erano giunti a verificare che è
possibile, con un po’ di allenamento, osservare i contenuti della
mente senza interferire con essi, né giudicarli. Sì può osservare
dall’esterno il fluttuare dei pensieri, delle emozioni, delle
impressioni, degli stati di coscienza.
In
sostanza i processi mentali si presentano come “oggetti
osservabili” e quindi, come tali, distinguibili dalla
consapevolezza che li percepisce. Come l’occhio non subisce alcun
mutamento quando muta la realtà che esso sta osservando, così la
consapevolezza non muta con il mutamento dei processi mentali.
Così
come possiamo osservare “dall’esterno” i nostri processi
mentali, possiamo anche osservare il nostro ego storico, notarne le
mutazioni caratteriali, comprendere quanto la nostra cosiddetta
“identità” sia frutto di una selezione operata dall’ambiente,
dalla famiglia, dalla società e da noi stessi.
Pertanto
il mondo orientale ha maturato le seguenti convinzioni:
- La mente che pensa è diversa dalla coscienza che la osserva;
- L’osservatore non è l’ego storico che è anch’esso oggetto e non soggetto della coscienza
- Il vero osservatore, ossia il vero soggetto dell’atto di coscienza è qualcosa che sta al di là della mente e dell’ego storico.
Pertanto
la prima conclusione della ricerca psicologica introspettiva
orientale è che: “io” non sono la mente, ma “ho” la mente. E
quando dico “io” non intendo riferirmi alla mia identità
storica, ma a qualcos’altro, un substrato della coscienza che dovrà
essere ulteriormente indagato.
Perciò,
per la psicologia vedica, la mente è oggetto, non soggetto; essa si
presenta come uno strumento al servizio della coscienza. Anzi, per
essere precisi, i principali sistemi filosofici vedici considerano la
mente come uno strumento predisposto dall’Intelligenza Cosmica
perché la coscienza possa fare quelle esperienze necessarie a
risvegliarla e a farle ritrovare la propria vera identità.
5. Mente e consapevolezza
Alla
luce delle osservazioni precedenti è opportuno ribadire che, nella
psicologia vedica, la mente non è affatto identica alla
consapevolezza. Al di là di tutte le fluttuazioni mentali, dei
processi del percepire e del pensare, esiste una sorta di “luogo
metafisico” in cui può avvenire l’osservazione e la
testimonianza di ciò che la mente ha fatto.
In
effetti tale dimensione di consapevolezza rispetto all’attività
della mente esiste sempre, almeno a livello implicito. Si potrebbe
obiettare che, per esempio, quando sono immerso nel sonno profondo,
tale coscienza dell’attività mentale è del tutto assente;
tuttavia i ricercatori orientali fanno notare che al risveglio
ciascuno prenderà atto che “io ho dormito”, oppure “io ho
sognato”. Ci sarà perciò un riconnettere le attività della mente
durante il sonno o il sogno ad un soggetto percipiente “a monte”
e dunque ad un’attività coscienziale implicita. In sostanza, se
posso affermare che il mio ego storico (=corpo +attività mentale) si
è addormentato, è perché una parte di me che non è l’io storico
(il quale era incosciente) era cosciente del sonno che stava
accadendo.
Si
tratta di una sorta di Pura Coscienza al di là del campo mentale.
Per la psicologia vedica la mente semplicemente “appare”
consapevole, ma solo perché riflette la luce di consapevolezza del
campo di Pura Coscienza che la osserva.
In
altre parole la Pura Coscienza è lo spettatore dei film che la mente
proietta. La mente è lo schermo (in sé bianco e vuoto), mentre i
singoli pensieri, le emozioni, ecc. sono i fotogrammi proiettati.
Come nel caso della visione di una pellicola cinematografica, lo
spettatore può lasciarsi talmente coinvolgere da ciò che vede, da
“entrare” nel film e soffrire e gioire con i protagonisti al
punto da vivere come “reale” ciò che gli viene proiettato
davanti. Oppure può guardare il film con la consapevolezza che si
tratta di un film e l’eventuale partecipazione alle emozioni degli
attori non gli fa perdere di vista il fatto che ciò che accade sullo
schermo non lo può realmente riguardare.
Allo
stesso modo la Coscienza può abbandonarsi al gioco della mente e
fare propri tutti i contenuti che la mente le propone (idee,
pensieri, emozioni, identificazioni, ecc.), identificandosi con essi,
oppure guardare dall’esterno al gioco della mente rimanendo in
quiete nonostante la mente sia sempre dinamicamente impegnata a fare
qualcosa.
In
sostanza la Coscienza può decidere di non “investire di identità”
i giochi della mente e quindi liberarsi dall’incessante lavorìo
mentale, non tanto fermando la mente (cosa impossibile) ma non
facendosi coinvolgere da essa.
Questa
convinzione costituisce il cuore stesso della psicologia ayurvedica e
guida tutte quelle che sono definite “terapie spirituali”, ossia
tutte quelle tecniche e strategie che hanno come obiettivo quello di
staccare la coscienza dalla mente e condurre l’individuo alla
scoperta di quello spazio interiore di pace che nessun evento esterno
può turbare.
* cfr. Luigi Lacchini - "Il dualismo
gnoseologico postcartesiano"