La personalizzazione del massaggio ayurvedico secondo i dosha
Materiali
Un massaggio è
un’interazione bio-energetica fra due esseri umani e, come tale, un
evento unico e irripetibile, una “magia” che ogni volta accade in
modi e con sfumature differenti.
Non c’è dubbio,
perciò, che l’operatore esperto, non propone né esegue sempre il
medesimo massaggio né alla stessa persona, né – tanto meno – a
riceventi diversi.
La personalizzazione del
trattamento, però, è un’arte sottile, che richiede grande
competenza ed esperienza, in quanto l’operatore (o forse il
“maestro”…) sceglie il tipo di sequenza, le manualità da
eseguire, la quantità delle ripetizioni per ognuna, la velocità, il
ritmo, la direzione, il tipo di olio veicolante, gli eventuali olii
essenziali, i colori, la musica, il mandala e ogni altro genere di
dettaglio atto a trasformare il trattamento in qualcosa di
assolutamente unico, specificamente adatto a quel ricevente.
Naturalmente il discorso
delle personalizzazioni terapeutiche non può essere affrontato in un
corso di base, se non nei suoi aspetti più macroscopici.
Le varianti si presentano
per un’infinità di ragioni. Innanzitutto ci sono diverse "scuole
di pensiero", ciascuna delle quali ha sviluppato tecniche sue;
spesso, poi, le modalità di intervento variano a seconda delle
"prakruti" (cioè dei "dosha"
predominanti nei vari individui) e di eventuali alterazioni "acute"
dei dosha stessi; altre differenze dipendono dal fatto che
ogni maestro tende ad elaborare nel tempo sequenze proprie, sia per
scopi didattici sia per intuizioni ed esperienze nate "sul
campo", che danno origine a metodi che – pur potendo prendere
diversi nomi – restano pur sempre autentici massaggi ayurvedici.
Vi sono poi tecniche
avanzate che manipolano maggiormente le articolazioni oppure i punti
"marman" o i "bindu", mentre,
quando si ha a che fare con problematiche psicosomatiche, è spesso
necessario riequilibrare le sottili energie dei chakra, con
particolari manovre energetiche.
In una parola: l'ayurveda
non è una sequenza che si impara a memoria e si ripete sempre
uguale qualunque sia la persona che ci troviamo davanti! Le capacità
di osservazione, la sensibilità e, vorremmo dire, le capacità
empatiche del maestro di ayurveda, lo portano a comprendere di cos'ha
bisogno l'assistito, modificando tecniche e manipolazioni a seconda
delle esigenze. Queste "personalizzazioni", non sono certo
frutto di improvvisazione, ma spontaneo fiorire (in uno spirito che è
analogo a quello Zen) del background di conoscenze che il maestro si
è creato in anni di studio e di ricerca.
Il fatto che ai livelli
elementari tutti i maestri insegnino sequenze, non deve ingannare. La
sequenza svolge nel massaggio la stessa funzione dei "kata"
o dei "lu" nelle arti marziali. Sono gli esercizi
indispensabili per dare una struttura all'allievo, insegnargli le
tecniche base e fargliele assimilare in modo ordinato: ma nessuno
effettua il combattimento libero usando i kata! Nell'arte del
massaggio quest'esigenza di conoscere moltissime tecniche per poter
usare poi spontaneamente quella "giusta", è persino ovvia.
5. Quale massaggio per vata, pitta e kapha?
Pur senza scendere i
dettagli sofisticati e professionali, si può abbozzare un primo
livello di personalizzazione in funzione della prakruti del
soggetto ricevente.
Si tratta, in sostanza,
di eseguire la sequenza che abbiamo appreso, con modalità
differenti, in modo tale da renderla adatta per individui vata,
pitta o kapha.
Cosa significa,
concretamente, effettuare un massaggio per vata, pitta o
kapha? Significa operare delle scelte in merito ai seguenti
punti:
- la sequenza da utilizzare (del nord, del sud, con o senza stretching, ecc.)
- la direzione di esecuzione della sequenza (piedi/testa o testa/piedi, supino/prono o prono/supino)
- la manualità da togliere e quelle che debbono essere lasciate
- la velocità e la forza con cui vengono eseguite le manovre
- la scelta dell’olio di base più opportuno
- la scelta dell'olio medicato più adatto (o, in modo più occidentale, la scelta degli olii essenziali da aggiungere)
- la scelta della musica
- la scelta del colore della luce ambientale se possibile
- la creazione di un mandala appropriato.
5.1 Cosa va bene per vata?
Le sequenze ideali per vata devono essere calmanti,
quindi sequenze del nord, lente, senza stretching o, se proprio è
necessario, con stretching lunghi e lenti. La direzione di sequenza è
preferibilmente testa/piedi, per portare l’energia in basso (il
vata è tendenzialmente carico nella parte alta del corpo). Può
essere utile partire in posizione prona per rilassare la schiena e
non “aggredire” subito la zona addominale e toracica che è molto
sensibile.
Vanno preferite manualità
lunghe, di riunificazione corporea, eseguite in modo molto lento.
Assai importante l’effettuazione di palmopressioni, che attivano il
sistema parasimpatico. Eventuali percussioni necessarie per
riattivare la circolazione e l’energia in zone periferiche fredde
(che i vata possono avere) andranno effettuate in maniera piena e
morbida, mai secca, agendo preferibilmente con il tenar o con il
taglio della mano (non con le dita).
La pressione delle
manovre strisciate (frizioni, drenaggi, ecc.) sarà lieve, ma la
superficie d’appoggio sempre piena. L’olio sarà piuttosto
riscaldante (per es. avocado, ricino, lino, arachidi, sesamo,
noci) e, poiché i vata spesso sono anche ipertesi, si potranno
aggiungere essenze di lavanda o ylang-ylang.
Musica destrutturata,
lentissima o silenzio assoluto. Complessa la scelta del colore della
luce: in teoria un individuo vata può essere tale per
caratteristiche fisiche o psichiche. Se la parte squilibrata è
quella mentale (agitazione, ipereccitazione, ecc.) potrebbero essere
indicate luci di colore blu o verde scuro, sempre che non vadano a
caricare troppo i chakra alti già sovraccarichi.
5.2 Cosa va bene per pitta?
Pitta richiede
principalmente di essere raffreddato; regge bene qualunque sequenza,
sia del nord che del sud, anzi, spesso è un soggetto attivo, che fa
sport e gradisce pertanto l’inserimento di manovre “muscolari”
e possibilmente sempre diverse, perché altrimenti tende ad
annoiarsi. Nel caso di un pitta non è molto rilevante in sé portare
l’energia in alto o in basso, a meno che vengano denunciati
squilibri di tipo circolatorio, come, ad esempio, cefalee da
vasodilatazione, nel qual caso si procederà ovviamente nel senso
testa/piedi.
In soggetti senza tali
problemi può essere interessante pensare sequenze che si concludano
in zona addominale, portando l’energia (il fuoco di pitta) proprio
sul secondo e terzo chakra, ovvero, nella zona compresa fra
l’ombelico e l’osso pubico, dove l’energia di base trova la sua
più naturale collocazione sia per l’ayurveda che per la MTC.
I tipi pitta solitamente
gradiscono manualità piuttosto energiche, ma occorre prestare
attenzione perché non diventino riscaldanti. In ogni caso si
utilizzerà un olio rinfrescante, (per esempio cocco, oliva o
girasole), arricchendolo eventualmente di essenza di rose. La
musica indicata sarà simile a quella appropriata per vata, così
come la luce. Evitare fonti di luce rossa o arancio.
5.3 Cosa va bene per kapha?
Kapha è l’inerzia, il
freddo, l’umido. Dev’essere pertanto attivato, riscaldato e
seccato. Essendo già di tendenze letargiche, per il tipo kapha è
opportuno scegliere dei massaggi energici, integrati da numerose
manovre di drenaggio, perché kapha tende e trattenere liquidi.
Specie se ipoteso, kapha
andrà trattato nel senso piedi/testa, prediligendo manovre di
energizzazione (percussioni) seguite da abbondanti drenaggi.
Per quanto riguarda
l’intensità della pressione, l’ayurveda classico sostiene che
per kapha si rendono necessarie pressioni molto forti per risvegliare
l’energia. Questo tratto – è bene segnalarlo – è in contrasto
con le indicazioni della scienza occidentale in materia di drenaggio.
Com’è noto ai praticanti di linfodrenaggio Vodder, il torrente
linfatico si muove per il 20% nei vasi profondi e per l’80% nei
capillari più superficiali che, per essere drenati, richiedono
pressioni delicatissime. Perciò, effettuare una pressione forte su
un soggetto kapha rischia di pregiudicare il drenaggio linfatico.
Tuttavia si impongono
anche altre riflessioni: kapha non manifesta solo la tendenza a
trattenere liquidi, ma spesso li intrappola all’interno di
strutture coesive di grasso (kapha è proprio il principio della
massa e della coesione), per cui c’è chi ritiene che le pressioni
forti siano necessarie per spezzare i legami che tengono intrappolata
l’acqua. Inoltre, talvolta, una forte pressione determina il
formarsi (casuale) di anastomosi emo-linfatiche in grado di avere
effetti drenanti eclatanti. Tuttavia, a tale proposito, va ricordato
che il formarsi di tali anastomosi non è affatto garantito da una
forte pressione e, inoltre, quand’anche avvenga, rischia di
immettere nel torrente ematico linfa non ancora purificata, con ovvi
rischi nel caso di infezioni latenti.
Per evitare questi
rischi, si può scegliere di energizzare kapha attraverso percussioni
piuttosto secche o digitopressioni, anche forti (purché molto
progressive), alleggerendo invece la manualità in sede di drenaggio.
In ogni caso le manovre
saranno ritmiche, veloci, energiche, tenderanno a rialzare l’energia.
Gli olii saranno riscaldanti (per esempio, colza, mais, senape,
cartamo, soia, mandorle dolci), l’illuminazione di color
arancio o rossa.