Pindasveda e Navarakhizhi
Materiali
1. Le tecniche diaforetiche nel Panchakarma tradizionale
Per
inquadrare in modo preciso il ruolo terapeutico
di pindasveda e navarakhizhi è
necessario riconsiderare questi trattamenti all’interno delle
tecniche del panchakarma classico; quest’ultimo si suddivide in tre
fasi:
- Purvakarma – ovvero le “azioni preliminari”;
- Pradhanakarma – ovvero le “azioni principali”, in cui consiste il panchakarma propriamente detto;
- Pascatakarma o Uttarakarma – ossia le “azioni successive”.
Il
Purvakarma, o prima fase, inizia circa due settimane prima del
panchakarma vero e proprio, si basa fondamentalmente su tecniche
lenitive (“samana”) e ha tre finalità principali:
- Ridurre e smaltire la maggior quantità possibile di “ama”, le tossine;
- Rafforzare “agni”, ovvero il fuoco gastrico, per evitare la formazione di ulteriore ama;
- Attenuare i dosha alterati e farli affluire dai tessuti periferici al centro (intestino, polmoni).
Per
ottenere questi tre risultati, si utilizzano tre tecniche:
- Una dieta appropriata;
- Il massaggio (snehana o abhyangam)
- Le tecniche diaforetiche (svedna karma)
1.1 Svedna karma
Gli
antichi testi ayurvedici prevedono varie tecniche in grado di
ottenere un effetto diaforetico. In sé, il termine “sveda”
significa sudore, uno dei tre “mala”, ovvero uno dei prodotti di
scarto che il sistema corporeo deve trattenere nella giusta
proporzione e di cui deve espellere l’eccesso. Più precisamente,
il sudore costituisce uno dei prodotti di scarto di kapha.
L’espulsione del sudore contribuisce ovviamente ad ottenere il
primo degli obiettivi del purvakarma, ovvero la riduzione delle
tossine, che vengono espulse attraverso i pori.
Inoltre,
secondo la tradizione ayurvedica, la produzione di sveda
contribuirebbe a sua volta a produrre “kleda”, un fluido corporeo
essenziale che contribuisce a mantenere l’umidità e la giusta
temperatura del corpo.
La
produzione di sveda avviene grazie al contributo di pitta e/o agni,
ovvero le forme “interne” di fuoco di cui il corpo dispone.
Quando il corpo è in salute la produzione di sudore è autoregolata
e ben equilibrata, mentre quando il corpo si ammala il sudore viene
prodotto o in eccesso o in difetto. È il caso, ad esempio, di chi ha
la febbre o viene colpito da un urto di vomito e, in seguito a
questo, ha un forte aumento della sudorazione e conseguente
disidratazione.
Ora,
secondo gli antichi testi ayurvedici,[1] l’epidermide, che è la
nostra barriera verso il mondo esterno, non può esistere né
mantenersi morbida, senza l’ausilio di sveda e kleda. Per questo il
mantenimento della corretta quantità di entrambi i fluidi è molto
importante.
Secondo Charaka
Samhita, svedna karma è il trattamento che
aiuta il corpo a liberarsi dalla rigidità, dalla pesantezza e dal
freddo attraverso il sudore. Di fatto, viene utilizzato per
intervenire su una vasta gamma di disagi corporei dovuti ad eccesso
di vata e di kapha.
Il
trattamento di svedna karma, qualunque sia la forma con cui viene
eseguito, fa sempre seguito ad una tecnica di oliazione (snehana),
sia esterna che interna.
Le
tecniche di svedna karma possono essere classificate da vari punti di
vista:
- Tecniche facenti uso di fonti di calore esterne rispetto al corpo;
- Tecniche in grado di indurre calore “dall’interno” del corpo mediante il ricorso a vari tipi di decotti a base d’erbe officinali
- Tecniche asciutte o umide
1.2 Le tecniche di Pindasveda
Le
tecniche di Pindasveda e Navarakhizhi sono fra le più antiche e note
dell’ayurveda, menzionate già nella Charaka
Samhita e nel Vahatas
Asthanga Sanraha. Letteralmente, “Pindasveda”
significa aiutare il corpo (“Pinda”) a traspirare e a sudare
(“Sveda”). Il metodo più comune utilizzato in ayurveda per
effettuare questo trattamento, è quello del bagno di vapore.
Normalmente si fa uso di una scatola sufficientemente grande per
contenere una persona, con un foro in alto per consentire al paziente
di tenere la testa fuori, al fresco. Nella scatola viene immesso
vapore caldo. Prima di entrare, al paziente viene chiesto di evacuare
e di bere un paio di bicchieri di acqua fresca. Sulla testa gli viene
posto un asciugamano umido e fresco.
Il
paziente rimane nel bagno di vapore non più di mezz’ora, e poi
viene invitato a fare una rapida doccia fredda e a rimanere in
assoluto riposo per circa mezz’ora. Solo dopo questo tempo gli
viene permesso di assumere alimenti semi-liquidi (zuppe, succhi o
frutta).
Nella
scuola di panchakarma del Kerala, le tecnica di Pindasveda viene
effettuata in tutt’altro modo, effettuando una fomentazione
dell’intero corpo mediante una sorta di trattamento di massaggio
effettuato ricorrendo a particolari mix di erbe calde, o utilizzate
secche, oppure sotto forma di decotti, mescolate con una speciale
varietà di riso bollito nel latte (navarakhizhi).
Solitamente i mix di erbe e i decotti vengono posti in piccoli
sacchettini di cotone non colorato, mantenuti caldi, che
costituiscono una sorta di “palline” grandi più o meno un pugno.
Il massaggio viene effettuato proprio utilizzando questi sacchettini
(denominati “potali”) al posto delle mani.
L’utilizzo
di fitopreparati all’interno dei potali fa sì che, talvolta, tale
tecnica sia denominata “patrasveda”, in quanto
“patra” significa appunto “foglie”.
Prima
di addentrarci nell’analisi di questa tecnica, è bene considerare
la sua intrinseca diversità rispetto al Pindasveda effettuato
mediante il bagno di vapore.
Le
differenze più eclatanti sono due:
- Il bagno di vapore energizza uniformemente l’intero corpo (testa esclusa); per questo motivo, benché dal punto di vista della sudorazione si possa considerare identico al Pindasveda del Kerala, non lo è sotto il profilo energetico, in quanto non si viene a determinare la differenza di potenziale che è essenziale per avere flusso di energia. Fra l’altro, l’utilizzo dei potali caldi consente di agire su specifici punti marma e, se li si conosce, anche su meridiani e punti di agopuntura.
- La tecnica di Pindasveda del Kerala fa uso di fitopreparati, per cui unisce al potere del calore quello delle sostanze medicamentose rilasciate; in questa tecnica sarà perciò essenziale esaminare il contenuto dei potali, utilizzando “ricette” diverse a seconda del disturbo su cui si vuole intervenire.
2. Gli effetti del trattamento Pindasveda
Gli
effetti dei trattamento pindasveda secondo l’ayurveda classico,
sono molteplici. Si possono ricordare schematicamente:
- Scioglie gli indolenzimenti articolari dovuti a gonfiore e ristagno dei liquidi
- In conseguenza di ciò aiuta a recuperare l’elasticità del corpo
- Attenua i disturbi di tipo vata
- Aiuta a liberare gli srotas occlusi (srotorodha)
- Migliora la circolazione sanguigna
- Aiuta a ripulire il corpo da ama
- Aumenta pitta e agni, rinforzando la digestione
- Elimina pigrizia e sonno eccessivo
- Attiva il metabolismo
In
termini più comprensibili per i pazienti occidentali, possiamo dire
che il trattamento pinsasveda ripulisce il corpo dalle tossine,
rinvigorisce e rallenta i processi di invecchiamento. Si può notare
l’assoluta congruenza di vedute tra la prospettiva ayurvedica e
l’analisi degli effetti dei trattamenti termici proposta
precedentemente in termini di fisiologia occidentale. Ovviamente non
si sta parlando di “un” trattamento, ma di cicli ripetuti di
trattamenti.
3. Come si effettua un trattamento Pindasveda
Il
trattamento pindasveda nello stile del Kerala è un vero e proprio
protocollo, che prevede numerose fasi per essere eseguito e regola
d’arte. Ne indichiamo schematicamente la struttura:
Snehana preparatorio del corpo con olio tridosha o con altro olio medicato specifico per il problema da trattare; (circa 20/35 minuti)
- Massaggio del viso e della testa con olio di cocco o di amla e masthiskya [2] (5/10 minuti)
- Massaggio con i potali medicati (da 30 minuti a un’ora e mezza)
- Abhyangam rapido utilizzando le erbe o la pasta contenute nei potali (che vengono aperti) (10 minuti)
- Doccia tiepida o, meglio ancora, bagno con erbe medicate (5/15 minuti)
- Fase di assoluto riposo mantenendo il paziente coperto, asciutto, in un luogo silenzioso (30 minuti)
- Eventuale canto di mantra durante il periodo di riposo
Tra
una fase e l’altra è necessario che trascorra sempre qualche
minuto di totale silenzio e, possibilmente, buio.
Il
tutto può durare fra un’ora e mezza e due ore, sempre che, nella
fase n.3, il massaggio con i potali medicati non venga eseguito
secondo le indicazioni tradizionali. In quest’ultimo caso, dato che
al paziente vengono fatte assumere ben 7 posizioni diverse, l’intero
trattamento supera abbondantemente le tre ore, divenendo quasi
improponibile in ambito occidentale. È opportuno che durante
l’esecuzione del trattamento sia il paziente che gli operatori
rispettino il silenzio per quanto possibile.
Come
si può notare, l’effettuazione
consapevole di un trattamento pindasveda dev’essere considerata una
tecnica avanzata di ayurveda, in quanto
richiede conoscenze piuttosto sofisticate:
- individuazione dell’olio medicato per lo snehana iniziale e per il massaggio di viso testa, secondo la prakruti e la vikriti del ricevente;
- conoscenza delle manualità necessarie per effettuare uno snehana e un massaggio del viso e della testa (mukhashiroabhyangam)
- profonde conoscenze fitoterapiche per individuare le erbe adatte per preparare il masthiskya e i potali;
- conoscenza dei punti marma ed eventualmente di quelli dell’agopuntura (o almeno dei meridiani) per applicare i potali con la massima efficacia possibile.
Non
si tratta perciò di una tecnica banale, acquisibile in poche ore di
training, sempre che la si voglia applicare consapevolmente.
Esaminiamo
ora dettagliatamente le varie fasi del trattamento.
4. Lo snehana preparatorio
In
termini occidentali, lo snehana preparatorio ha fondamentalmente due
funzioni. Innanzi tutto ungere la superficie del corpo in modo che si
crei una pellicola protettiva per la pelle (specialmente se i
pindasveda vengono effettuati su un soggetto “vata”), e il calore
dei potali dia una sensazione di uniformità.
La
seconda funzione è quella di indurre un profondo rilassamento nel
ricevente, in modo che vata venga diminuito e rallentato e si riduca
l’eventuale congestione degli srotas. Inoltre il massaggio migliora
la circolazione, attiva agni e quindi intensifica l’azione
diaforetica dall’interno, contribuendo all’eliminazione di aam.
Secondo
la tradizione ayurvedica, lo snehana attenua i dosha alterati li
separa dal loro substrato (gli organi) e facilita il loro
posizionamento negli organi toracici e addominali (polmoni, stomaco,
intestino) da cui verranno definitivamente eliminati tramite il
panchakarma.
Lo
snehana preparatorio, non avrà perciò le caratteristiche di un
massaggio analitico dei vari segmenti corporei (non è un abhyanga!),
quanto piuttosto di un’oliazione dell’antica tradizione del nord,
effettuata con manovre lunghe, avvolgenti, con direzione energetica
dalla periferia al centro. Si svolgerà prevalentemente in posizione
supina[3] e verrà effettuato con olio specifico per la prakruti e la
vikriti del ricevente o, in mancanza, con olio tridosha.
In
sostanza, trattandosi di uno snehana che mira a diminuire vata e a
convogliare i dosha in eccesso verso stomaco e polmoni, se si esegue
soltanto in posizione supina potrà essere utile eseguire una
sequenza con il seguente ordine:
- braccia
- torace
- addome
- piedi
- gambe
- addome
Se
invece si eseguono anche alcune manualità in posizione prona (de
effettuare prima di quella supina) sarà utile lavorare adeguatamente
la zona dei paravertebrali, e della parte posteriore della gamba
(anche con palmo e digitopressioni), per attivare l’energia del
meridiano di vescica urinaria e rendere perciò ancora più efficace
l’azione diaforetica.
Potrebbe
anche essere utile, sulla base dei principi fisiologici del drenaggio
linfatico, effettuare un pompaggio preparatorio delle stazioni
linfatiche principali.
5. Il massaggio della testa
Nell’esecuzione
tradizionale il paziente va fatto sedere e viene effettuato
il mukhashiroabhyangam nello
stile del Kerala, seguito da masthiskya. Quest’ultima è una
fasciatura integrale della testa effettuata dopo averla spalmata di
pasta di amalaki (Emblica officinalis)
per uno spessore di circa ½ cm. Spesso nell’ayurveda classico il
paziente viene completamente rasato prima di iniziare il trattamento
in modo che masthiskya venga posta direttamente a contatto con il
cuoio cappelluto.
In
un’esecuzione “occidentale”, che tenga conto delle particolari
esigenze dei nostri pazienti e della loro diversa sensibilità, il
massaggio del viso e della testa va effettuato in modalità
abbreviata rispetto al mukhashiroabhyangam classico, sia per non
rischiare un’eccessiva concentrazione energetica nella zona alta
del corpo, sia per non allungare eccessivamente la durata complessiva
del trattamento.
Il
mukhashiro parziale può essere effettuato in posizione seduta o in
posizione supina (più gradevole per il ricevente occidentale medio).
Dev’essere eseguito con olio di amla [4] o di cocco, che sono
specifici per il massaggio della testa e hanno effetto rinfrescante.
Infatti è importante che durante il trattamento pindasveda la testa
rimanga comunque più fresca del resto del corpo. Può essere
opportuno ripartire 8/10 minuti di massaggio dedicandone la metà al
viso e metà alla testa, il cui massaggio è particolarmente
rilassante.
Al
termine del massaggio, i capelli dovrebbero restare intrisi
nell’olio; se il paziente non vuole ungere i capelli si effettuerà
il trattamento della testa a secco e poi si ungerà leggermente il
viso per massaggiarlo. In ogni caso è necessario almeno
avvolgere la testa in un asciugamano umido e fresco.[5]
6. Massaggio con i potali medicati
L’esecuzione
del trattamento con i potali prevede quattro tipologie di tecniche:
- manovre di massaggio a manualità strisciata
- manovre circolari sulle articolazioni
- manovre di tamponamento (utilizzate specialmente nel caso in cui si debbano trattare tipi “pitta”, per cui, in sé, le tecniche diaforetiche sarebbero sconsigliate, tranne nei casi di sama pitta;
- posizionamento statico su punti specifici del corpo (marma o chakra).
Presento
tre diverse modalità esecutive utili per diverse situazioni:
- l’esecuzione tradizionale del Kerala
- un’esecuzione “occidentale” che enfatizza la funzione di drenaggio linfatico
- un’esecuzione “orientale” che enfatizza il lavoro bioenergetico
6.1 Esecuzione tradizionale del Kerala
In
India il trattamento viene solitamente eseguito da più operatori
(fino a 5), di cui uno si occupa di sostituire e tenere caldi i
fagottini e gli altri, mettendosi a coppia sui due lati del paziente,
li applicano.
Il
trattamento viene effettuato facendo assumere successivamente al
paziente ben 7 posizioni diverse:
- seduto
- supino
- fianco sinistro
- fianco destro
- prono
- di nuovo supino
- di nuovo seduto
La
modalità più antica
Per
quanto riguarda l’esecuzione specifica delle manualità, vi sono
almeno due scuole diverse. I maestri che
lavorano in modo più “antico” effettuano
tutte le manualità dall’alto verso il basso, con direzione
centrifuga rispetto al cuore, aumentando la pressione man mano che si
scende sugli arti. Su articolazioni, viso. collo e spalle si
effettuano movimenti circolari. Vengono effettuate tre passate
complessive, ognuna a pressione e calore crescente.
Si
tratta di una modalità controlinfatica, che sembrerebbe avere più
che altro obiettivi di scarico energetico. Non appare adeguata agli
obiettivi specifici del pindasveda, ossia il convogliamento di ama
nelle zone di successiva espulsione.
La
modalità più moderna
I
maestri di formazione più recente utilizzano invece un altro genere
di manualità:
- dapprima lunghi drenaggi in direzione linfatica
- successivamente manovre corte di “va e vieni” (quasi frizioni locali) effettuate comunque in direzione linfatica
- manovre circolari e tamponamento sulle articolazioni
La
tecnica specifica utilizzata per il trattamento è naturalmente
oggetto di uno specifico corso
Questo
stile di trattamento merita un breve commento.
La
presenza contemporanea di 4 terapisti (due per lato) o almeno di 2
(uno per lato), non va considerata il vezzo di un paese dove la
manodopera costa poco, ma, vista alla luce di quanto è stato detto
sulla circolazione energetica, ha una grande importanza.
In
questo modo, infatti, la circolazione della bioenergia, piuttosto che
essere “in verticale” lungo l’asse piedi-testa o testa-piedi,
risulta centripeta, cioè diretta dalla superficie del corpo verso
l’interno e riuscendo perciò molto meglio a condensare ama nelle
zone di espulsione.
In
occidente, dove spesso il trattamento viene eseguito da un solo
operatore, è necessario tenere conto di queste osservazioni e,
almeno quando si lavora la zona del torace e dell’addome, si
dovranno tenere due potali contemporaneamente: uno per lato, al fine
da spingere l’energia termica verso l’interno del corpo.
6.2 Esecuzione “drenante” all’occidentale
Nelle
scuole ayurvediche esistenti in occidente, invece, il trattamento
viene semplificato e si tiene conto delle nozioni espresse da Vodder
in tema di linfodrenaggio; perciò le manovre vengono effettuate
seguendo l’andamento del flusso linfatico, per valorizzare al
massimo gli effetti drenanti.
Vengono
comunque effettuati almeno 3 passaggi, aumentando il calore dei
potali ad ogni passaggio.
Non
è necesario far assumere al paziente sette posizioni consecutive.
Più semplicemente il massaggio si gestisce come un normale
trattamento drenante (prima in posizione prona e poi supina). In
generale la sequenza dovrà essere centripeta, in modo da portare ama
verso il centro del corpo.
6.3 Esecuzione orientale bioenergetica
Nelle
scuole ayurvediche più avanzate e sensibili al lavoro bioenergetico,
si insegna anche ad effettuare il trattamento pindasveda con una
modalità molto più tecnica e complessa, che mira al raggiungimento
di obiettivi in parte diversi rispetto alla semplice concentrazione
di ama nelle zone di espulsione.
In
questa tipologia di trattamento, vengono lavorati con i potali i
meridiani e i punti energetici (marma, punti di agopuntura e punti
kum nye) legati ad un particolare problema da risolvere. Ovviamente
in questo modo non si ha più un trattamento standard, ma altamente
personalizzato in funzione dei bisogni specifici del ricevente.
Questa
modalità esecutiva richiede ovviamente una buona conoscenza del
sistema bioenergtico e delle funzioni svolte dai singoli meridiani e
punti che non può ovviamente essere oggetto di studio in questo
contesto.
Con
questa modalità il trattamento può anche essere eseguito da solo,
salvo lo snehana preparatorio iniziale.
7. Bagno con erbe medicate
Il
bagno post-trattamento va effettuato in acqua tiepida. Possono essere
utilizzati semplici sali rilassanti. Se si vuole un’azione più
specifica, possono essere usate erbe (o olii aromatici) alterative
(per eliminare tossine) [6], toniche (nel senso ayurvedico del
termine, ovvero “nutritive” dei tessuti) [7], emollienti (con
effetto calmante ed ammorbidente sulla pelle e sulle mucose) [8].
Molto
spesso le erbe utilizzate nel bagno sono le stesse che erano state
messe nei potali, per potenziare ulteriormente l’effetto del
trattamento.
8. Periodo di rilassamento finale
Deve
avvenire in una stanza ben aerata, a temperatura confortevole. Il
paziente va tenuto coperto in modo che possa rimanere al caldo e
all’asciutto. La luce dev’essere notevolmente attenuata,
possibilmente di colore blu, verde o turchese.
L’ideale
sarebbe il silenzio assoluto, ma può essere accettabile anche una
blanda sonorizzazione ambientale con suoni naturali e/o stimolazioni
musicali poco strutturate.
L’eventuale
esecuzione di mantra durante questa fase fa evolvere il trattamento
verso le vere e proprie tecniche di meditazione, con effetti
energetici e spirituali.
La
mantrizzazione va guidata dall’operatore. Il paziente può cantare
a sua volta il mantra; il volume del canto si spegne progressivamente
e il mantra viene interiorizzato e cantato mentalmente.
Soprattutto
i tipi vata devono cantare il mantra più interiormente che
fisicamente, perché il canto fisico del mantra ne esaurisce
rapidamente le energie.
Un
discorso molto più complesso – a cui è possibile fare solo un
rapido cenno – riguarda invece il tipo di mantra da utilizzare. La
questione, di per sé, è di competenza della psicologia
yogico-tantrica. Qui mi limito a due idee.
Innanzi
tutto, almeno solitamente, i trattamenti pindasveda vengono
effettuati per abbassare kapha ed eventualmente anche vata. Proprio
per questo i pazienti che si sottopongono a trattamento pindasveda
presentano spesso squilibri con il primo chakra (terra), il secondo
(acqua) ed il terzo (fuoco, quasi sempre carente). Per questa ragione
può essere indicata la recitazione dei bija mantra relativi a questi
tre chakra, e precisamente:
- 1° chakra – LAM
- 2° chakra – VAM
- 3° chakra – RAM
Un
mantra specifico per kapha è HUM. [9]
9. Olii per lo snehana preparatorio
Lo
snehana è una tipica tecnica di unzione dove si fa uso di olio in
quantità superiore rispetto ad un normale abhyangam; la sostanza
utilizzata per il massaggio diviene perciò di particolare importanza
e la sua preparazione dev’essere molto accurata.
Le
basi tradizionali per lo snehana sono le seguenti:
- Vata – sesamo
- Pitta – 50% ghee, 50% sesamo
- Kapha – 25% ghee, 75 % sesamo
Sia
olio che ghee debbono essere usati caldi; il ghee va sciolto prima a
parte (senza bruciarlo!) e poi gli va aggiunto il sesamo.
9.1 Integrazione aromatologica
Benchè
- è bene ricordarlo - l'ayurveda non faccia uso di olii essenziali,
agli utenti occidentali è gradito integrare le basi sopra riportate
con alcuni olii essenziali. La scelta dev’essere effettuata in base
all’obiettivo che si vuole raggiungere con il trattamento. In
generale, sappiamo che i pindasveda vengono effettuati per purificare
gli srotas e quindi sono molto indicati gli
olii alterativi e diaforetici.
Tuttavia, specialmente se si effettua il trattamento con modalità
bioenergetica, non tradizionale, può essere utile aggiungere
olii carminativi (per
favorire la digestione e l’aumento di agni), emmenagoghi (per
favorire le mestruazioni), nutrienti (per
tonificare i tessuti) o nervini (per
regolare il sistema nervoso).
Forniamo
di seguito una tabella che non vuole affatto essere esaustiva. [10]
Anche
in questo caso la trattazione analitica degli O.E. da utilizzare è
oggetto di studio nel corso specifico
9.2 Olii medicati
Al
posto delle basi, anche opportunamente arricchite con olii
essenziali, lo snehana può essere effettuato con olii ayurvedici
medicati. Anche in questo caso la scelta dovrà essere effettuata in
base all’obiettivo:
- Olio specifico per vata (vata padma): riscaldante, nutriente
- Olio specifico per pitta (pitta padma): rinfrescante, purificante
- Olio specifico per kapha (kapha padma): riscaldante, diaforetico
- Olio Ashwagandha: rilassante mentale, nutriente per il corpo e la pelle, anabolico. Ideale per vata.
- Olio Dhanvanthara: grande classico anti-vata, con effetto su dolori articolari e rilassamento.
- Olio Narayana: particolarmente adatto per calmare gli stati di sovraeccitazione mentale.
- Olio Karpooradi: specifico per dolori articolari e per favorire la diaforesi. Ideale per kapha.
10. Olii e paste per il trattamento della testa e del viso
Per
il massaggio della testa possono essere utilizzati i seguenti olii
base:
- Olio di Sesamo (vata e kapha)
- Olio di Cocco (pitta)
- Olio di Amla (pitta)
- Olio di Sandalo (pitta)
Se
invece si vuole ricorrere ad olii medicati della tradizione
ayurvedica si possono utilizzare i seguenti:
- Olio Narayana (vata)
- Olio Pinda (vata)
- Olio Dhanvanthara (vata)
- Olio Dashamula (vata)
- Olio Asanavbilvadi (vata)
- Olio Kshirabala (kapha)
- Olio Amavathahara (kapha)
- Olio Kottumcukadi (kapha) [11]
10.1 Paste per masthiskya
Per
l’effettuazione di masthiskya vi sono, nella tradizione ayurvedica,
varie ricette. Ne proponiamo tre:
- Amalaki Takra Dhara (burro medicato all’amla)
- Pasta di erbe attivanti al burro di amalaki
- Pasta di erbe attivanti
Amalaki
Takra Dhara
- 1 tazza di latte intero
- 2 tazze d’acqua
- 1 tazza di amla in polvere (Emblica officinalis, PV-, K=)
Mescolare
latte e acqua e cuocere a fuoco lento finché il composto non
raggiunge i 40°. Togliere dal fuoco e aggiungere la polvere di amla
mescolando bene con un cucchiaio di legno finché la polvere si
amalgama bene. Versare in un contenitori, coprirlo con un asciugamano
e lasciarlo riposare per 12 ore a una temperatura tra i 24° e 27 °
finché il preparato diventa una crema densa simile al burro.
La
parte che non verrà usata per il trattamento dovrà essere
conservata in frigorifero e può essere consumata ai pasti per
abbassare vata.
Pasta
al burro di amalaki
- ½ tazza di amalaki takra dhara
- 4 cucchiai di sandalo in polvere (santalum album, PV-, K=)
- 2 cucchiai di loto in polvere (nelumbo nucifera, PV-, K+)
- 1 cucchiaio di bambù in polvere
- 1 cuchiaio di musta in polvere (cyperus rotundus, PK-, V=)
- 2 cucchiai di acqua calda
Per
peparare la pasta è sufficiente aggiungere al burro di amalaki le
quattro polveri e l’acqua calda, mescolando bene fino ad ottenere
una pasta omogenea. La pasta va applicata immediatamente dopo la
preparazione. Se si tratta un tipo pitta lasciare
raffreddare la pasta prima di applicarla.
Pasta
di erbe attivanti
- 1 tazza abbondante di sesamo in polvere (sesamum indicum, V-, PK+)
- 2 cucchiaini di cannella in polvere (cinnamomum zeylanicum, VK-, P+)
- ½ tazza di bala in polvere (sida cordifolia, VP-, K=)
- 1 cucchiaio di shatavari in polvere (asparagus racemosus, PV-, K+)
- 2 cucchiaini di punarnava in polvere (boerhaavia diffusa, PK-, V+)
- 1 cucchiaio di senape in polvere (brassica alba, VK-, P+)
- 1 cucchiaio di cardamomo in polvere (elettaria cardamomum, VK-, P+)
- 1 tazza di acqua calda (o più se necessario)
Sesamo,
senape e cardamomo possono anche essere in semi e dovranno essere
pestati al mortaio o macinati nel suribachi.
Le
polveri devono essere ben mescolate e amalgamate fra loro. Poi si
uniscono progressivamente con l’acqua mescolando sino ad ottenere
una pasta soffice.
11. Le piante per il trattamento pindasveda
Per
effettuare la parte più specifica del trattamento pindasveda (il
massaggio con i potali caldi) è necessario preparare i sacchettini
con composti di piante diaforetiche. Esse agiscono sul sistema
tegumentario e, dato che l’energia difensiva, sia per l’ayurveda
che per la MTC, scorre sulla superficie del
corpo, è corretto affermare che le piante diaforetiche stimolano
tale energia.
In
generale, gli effetti delle piante diaforetiche sono i seguenti:
- stimolano la sudorazione
- alleviano la tensione muscolare
- leniscono i dolori articolari
- abbassano le febbri dovute a fattori esterni
- provocano eruzioni cutanee risolvendo revulsivamente stati infiammatori cutanei
- possono alleviare le cefalee da freddo e da stati congestizi.
Tuttavia,
secondo la fitoterapia ayurvedica, esistono due tipologie di piante
diaforetiche: quelle raffreddanti e quelle riscaldanti. Il principio
di azione delle due classi di erbe è del tutto diverso.
11.1 Piante diaforetiche raffreddanti
Le
piante diaforetiche raffreddanti (bardana, camomilla, coriandolo,
crisantemo, equiseto, eupatorio, gattaria, marrubio, menta piperita,
menta spicata, millefoglio, sambuco) sono spesso erbe
dal rasa amaro e/o pungente, che fanno diminuire
pitta e kapha ma aumentano vata. Spesso sono anche diuretiche e
alterative.[12] Possono anche avere un’azione purificatrice sul
fegato e sul sangue.
Naturalmente,
essendo piante a virya raffreddante, non ha senso
usarle per effettuare tecniche di fomentazione che ne prevedono il
riscaldamento.
11.2 Piante diaforetiche riscaldanti
Le
diaforetiche riscaldanti (che sono la maggioranza), presentano speso
rasa pungente. Sono per lo più stimolanti, espettoranti, dotate di
proprietà antiasmatiche e antireumatiche. Alleviano kapha e vata, ma
aggravano pitta. Ottengono l’effetto innalzando la temperatura del
corpo ed eliminando il freddo. Agiscono in primo luogo su polmoni e
sistema respiratorio; sgombrando i seni nasali dal muco
contribuiscono ad aumentare il prana assimilato, acuendo e stimolando
i sensi e il sistema nervoso.
In
generale, l’assunzione di piante diaforetiche, sia riscaldanti che
raffreddanti dev’essere accompagnata da un bagno caldo e seguita da
riposo al caldo asciutto e da digiuno. A maggior ragione quando
l’effetto riscaldante viene potenziato tramite la fomentazione.
Tipiche
piante diaforetiche riscaldanti, utilizzabili per la preparazione del
trattamento pindasveda sono: angelica,
asaro canadese, bacche di ginepro, basilico, canforo, cardamomo,
chiodi di garofano, cinnamomo (cannella),
efedra, eucalipto, salvia, tamarisco, timo, zenzero.
Ecco
alcune brevi indicazioni sulle più comuni fra esse.[13]
Angelica
- Esiste in molte specie. Quella cinese e quella indiana,
oltre alle proprietà diaforetiche e antireumatiche produce anche
effetti tonici che la specie europea possiede in misura minore. È un
ottimo emmenagogo, ha anche proprietà antiartritiche e stimola la
circolazione. La parte usata è la radice. Va usata
con cautela in gravidanza e in caso di ipertensione.
Basilico
- Pianta considerata sattvica,
tenuta in massimo onore in India, quasi come il loto. La pianta
assorbe gli ioni positivi ed energizza quelli negativi, purificando e
ozonizzando l’aria. È un febbrifugo, rimuove l’eccesso di kapha
dai polmoni e dalle vie nasali, libera il colon dall’eccesso di
vata e favorisce l’assorbimento. Come bevanda, assunto con miele,
stimola la chiarezza mentale.
Cardamomo
- È uno dei più efficaci
stimolanti della digestione. Stimola samana
vata (digestione e intestino tenue),
attiva agni e rimuove kapha da stomaco e milza. Ideale per i disturbi
digestivi di origine nervosa (specialmente nei bambini) e, in
generale, in caso di vata elevato. Si combina ottimamente con il
finocchio. Arresta vomito, rigurgiti acidi ed eruttazione. La parte
utilizzata è il seme.
Chiodi
di garofano. - Sono uno
stimolante per polmoni e stomaco e disinfettano le vie linfatiche. È
energizzante, ma, essendo rajasiko, può essere irritante. L’olio
essenziale, volatile, è un analgesico piuttosto potente. L’uso è
controindicato in caso di ipertensione e stati infiammatori. La parte
utilizzata sono i fiori in boccio essicati.
Cannella
- È un ottimo stimolante e
armonizzante della circolazione (vyana vata)
con buone proprietà diaforetiche ed espettoranti; riscalda i reni,
alimenta agni ma aumenta pitta meno dello zenzero. Promuove la
digestione e aiuta ad assimilare i farmaci. Non dev’essere
utilizzato in presenza di disturbi con perdita di sangue. La parte
utilizzata è la corteccia.
Ginepro
- Le bacche sono un ottimo
diuretico negli stati vata, in quanto ne eliminano l’eccesso e
migliorano la digestione. Sono efficaci
per kapha ma aggravano pitta e possono risultare irritanti; per
questo vengono spesso usate insieme ad altri diuretici (per
es. altea o goksura)
per contrastarne gli effetti nocivi. Nell’uso esterno (specialmente
soto forma di pasta) leniscono dolori e gonfiori artritici. Non va
utilizzato in caso di nefrite acuta, cistite e gravidanza.
Salvia
- Utilizzata fredda è diuretica
e astringente, mentre calda è diaforetica ed espettorante. In
generale riduce le secrezioni corporee, essica il muco delle vie
respiratorie e diminuisce la salivazione.
Non va utilizzata in caso di vata elevato e
durante l’allattamento, in quanto sopprime le secrezioni mammarie.
La parte usata è la foglia.
Zenzero
- Lo zenzero essicato è un
migliore stimolante ed espettorante, riduce kapha e aumenta agni.
Fresco è un migliore diaforetico ideale per squilibri vata. Ottimo
per la cura dei disturbi digestivi e respiratori. Indicato per
condizioni artritiche fa diminuire gas e crampi addominali. Nelle
applicazioni esterne viene usato sotto forma di pomata per dolori e
mal di testa. La parte usata è il rizoma.
12. Ricette per il trattamento pindasveda
Gli
ingredienti più semplici che si possono utilizzare per
effettuare un trattamento pindasveda sono l’argilla e
il sale grosso, meglio ancora se si tratta di sale di
roccia dell’Himalaya. Potali pieni di argilla o di sale hanno buone
capacità igroscopiche e sono facili da preparare. Ovviamente si
perde l’eventuale effetto benefico specifico delle erbe.
12.1 Formula-base tridosha:
Si
tratta di una formula aspecifica dal punto di vista terapeutico, che
fa uso di erbe riequilibranti per tutti e tre i dosha. È costituita
dalla triphala churna,
una ben nota composizione di tre erbe, largamente utilizzata in
ayurveda:
- Amalaki (emblica officinalis PV- K=)
- Haritaki (terminalia chebula VK- P=)
- Bibhitaki (terminalia belerica KP- V=)
- Lavanda (lavandula officinalis PK- V=)
L’utilizzo
della lavanda è facoltativo, qualora si desideri aggiungere un
profumo gradito e dall’effetto rilassante sul quarto chakra con
azione diaforetica ed antipiretica. Come si nota dalle
caratteristiche delle tre erbe principali, si tratta di un composto
perfettamente bilanciato, che non aggrava alcun dosha, ma, con azione
sinergica, li allevia tutti.
12.2 Formula anti-vata:
È
una formula specifica per ridurre vata e, in minore misura, kapha.
Aumenta sensibilmente pitta; per questa prakruti è sconsigliato
l’uso.
- Zenzero g. 250 (Zingiber officinale, VK- P+)
- Ajamoda g. 250 (Carum roxburghianum KV- P+)
- 4 tavolette di Jivanshakti
- 8 tavolette di Vatna
Jivanshakti
e Vatna sono due fitopreparati ayurvedici già in pastiglie, che
contengono molti principi attivi. Per la precisione:
Jivanshakti: (Tinospora
cordifolia – stelo / Tribolo – frutto / Mela cotogna – frutto /
Uraria picta – radice / Solanum indicum – radice / Gmelina
arborea – radice / Stereospermum suaveolens / Oroxylum indicum –
radice / Premna integrifolia – radice / Desmodium gangeticum –
radice / Solanum xantocarpum – radice / Sida cordifolia /
Leptadenia reticulata – radice).
Vatna:
balsamodendron mukul – resina / mirabolano – frutto / amla –
frutto / terminalia belerica – frutto / paederia foetida – radice
/ zenzero – radice / vitex negundo – foglia / tribolo – frutto
/ pluchea lanceolata – foglia / cyperus rotundus – radice /
argyreia speciosa – radice / fagonia arabica – radice / sida
cordifolia / allium sativum – bulbo / pino – corteccia / zeodaria
– radice / premna integrifolia – radice / noce malabar – foglia
/ piper chaba hunter – rdice / boerhaavia diffusa / aneto – seme
/ garcinia pedunculata – foglia / asparago – radice / coriandolo
– seme / solanum indicum – radice / pepe lungo – frutto /
barleria prionitis / solanum xanthocarpum – radice.
Solitamente,
quando viene effettuato il trattamento pindasveda con funzione
anti-vata, lo snehana iniziale viene effettuato con olio di sesamo
addizionato con olio samavatak, un particolare olio medicato contro
vata. [14]
12.3 Formula diaforetica
Se
si desidera ottenere un potente effetto diaforetico anti-kapha con
forte riduzione anche di vata, si può utilizzare la seguente
formula:
- Zenzero (Zingiber officinale VK-, P+)
- Cannella (Cinnamomum Zeylanicum VK-, P+)
- Ginepro (Juniperus communis KV-, P+)
- Noce moscata (Myristica fragrans VK-, P+)
- Canforo (Cinnamomum camphora KV-, P+)
- Sale dell’Himalaya (VK-, P+)
- Senape (Brassica alba KV-, P+)
Si
tratta di un composto che innalza molto pitta e quindi è del tutto
sconsigliato per questo dosha. Evitare il ginepro in presenza di
ipertensione. Nei vata già molto secchi la formula crea troppa
disidratazione.
12.4 Formula siddha per dolori articolari
La
tradizione medica siddha, dell’India meridionale, fa uso della
seguente ricetta per il trattamento, mediante pindasveda, dei dolori
articolari. Ecco la formula per 4 potali.
- Anethum graveolens (Aneto) g. 100 (PK- V=)
- Sale dell’Himalaya g.40 (VK-, P+)
- Curcuma longa (Curcuma) g. 40 (KV- P=)
- Allium Sativum (Aglio fresco) g. 60 (VK- P+)
- Limoni n.8 (PV- K=)
- Tuorli di uova sode n.8
Gli
ingredienti, adeguatamente macinati, devono essere cotti in poco olio
di semi di girasole per 3 minuti.
12.5 Formula per il Navarakhizhi
Il
“navarakhizhi” è una versione di pindasveda molto praticata in
India, ma, purtroppo, piuttosto laboriosa da realizzare in un
contesto occidentale, in quanto richiede una preparazione lunga che
ne fa crescere sensibilmente il costo. Gli ingredienti sono i
seguenti:
- Bala 250 gr. (sida cordifolia)
- Acqua 4 l.
- Latte intero 2 tazze
- Riso integrale ¾ di tazza (meglio la qualità “navara”, da cui il nome). Il riso può anche essere frantumato per velocizzare la creazione della pasta medicata.
La
ricetta, così com’è, è indicata per vata. Nel caso di pitta
sostituire il riso con chicchi di grano, mentre nel caso di kapha
sotituirlo con orzo perlato [15].
Si
porta ad ebollizione l’acqua a cui si aggiunge la polvere di Bala,
facendola bollire lentamente a fuoco medio per circa 4 ore, finché ¾
circa del liquido sia evaporato. Colare il composto con un colino
fine. Dovrebbero rimanere circa 4 tazze di liquido. Due vengono
tenute da parte, mentre altre due sono utilizzate subito.
Unire
il latte a due tazze di decotto, portare a ebollizione e
aggiungere il riso facendo bollire per almeno un’ora, finché il
riso non assume la consistenza di una pasta (payasam).
Riempire
4 potali con il composto ottenuto. Durante il trattamento tenerli
costantemente in caldo immergendoli nelle due tazze calde di decotto
di Bala che sono state messe da parte.
Con
dosi doppie di ingredienti si possono fare 8 potali, di cui 4 sempre
in caldo nel decotto e 4 utilizzati sul corpo del paziente. In questo
modo il trattamento assume maggiore continuità e fluidità.
Come
nei pindasveda con le erbe, al termine del trattamento i potali
vengono aperti e il paziente massaggiato direttamente con la pasta
medicinale su tutto il corpo.
[1] Ashtanghrydaya
[2] La
ricetta per l’effettuazione del bendaggio “masthiskya” viene
proposta più avanti.
[3] L’ayurveda
tradizionale non si preoccupa molto se il paziente deve assumere
svariate posizioni durante il trattamento, passando ripetutamente da
supino, a prono, a seduto. La massoterapia occidentale è invece
assai più attenta ad ottimizzare le posizioni del ricevente,
riducendo al minimo i cambiamenti. Va tenuto presente che, con
pazienti di cultura occidentale, il frequente cambio di posizione
disturba e non consente di ottenere il rilassamento profondo che
costituisce una delle chiavi per ottimizzare l’effetto dei
pindasveda.
[4] Emblica
officinalis.
[5] Tuttavia
occorre “educare” i riceventi a comprendere che il trattamento
pindasveda non è un giochino alla moda da eseguire come loro
preferiscono, ma un trattamento terapeutico che ha senso e valore
nella misura in cui viene rispettato un protocollo rigoroso.
[6] Per
es. aloe, bardana, dente di leone, sandalo, trifoglio, violetto.
[7] Per
es. altea, amalaki, angelica, bala, carrageen, dattero, ginseng,
liquirizia, mandorla, noce di cocco, olmo scuro, radice di consolida
maggiore, shatavari, semi di lino, semi di loto, semi si sesamo,
sigillo di Salomone, spigonardo, uva.
[8] Altea,
capelvenere, carrageen, centonchio, liquirizia, olmo scuro, radice di
consolida maggiore, sale del bambù, semi di lino, sigillo di
Salomone.
[9] Interessante
notare che, anche per la MTC, e precisamente nella pratica del Qi
Gong dei suoni, la sillaba HU è
associata al meridiano di milza/pancreas, che è esattamente un
meridiano terra, tipicamente in squilibrio in tutti gli stati kapha.
[10] Si
consiglia vivamente agli operatori ayurvedici di includere nella loro
formazione professionale un serio corso di aromatologia ayurvedica.
[11] L’estrema
complessità erboristica di questi olii ne sconsiglia la preparazione
in proprio. Alcuni di questi possono essere acquistati presso
rivenditori di prodotti erboristici ayurvedici.
[12] Nella
fitoterapia ayurvedica si dicono “alterative” le piante che hanno
un’azione purificante, detossinante e, spesso, antiinfettiva e
antibatterica.
[13] Ci
limitiamo a trattare brevemente degli effetti fisici delle erbe
esaminate, trascurando quelli di tipo energetico ed aurico che
possono essere oggetto di indagine soltanto in uno specifico corso di
fitoterapia ayurvedica.
[14] Di
per sé, il “samavatak oil” può essere usato anche da solo, in
quanto è già a base di sesamo. Lo si diluisce più che altro per
limitare i costi. Si tratta di un olio utilizzabile anche per uso
alimentare, nella dose consigliata di 1 cucchiaino al dì. La ricetta
del “samavatak oil” è complessa. Gli ingredienti sono: olio di
sesamo, Pluchea Lanceolata, Vitex Negundo, Cedrus Deodara, Waleriana
Wallicchi, Acorus Calamus Foglia, Vetiveria Zizanioides, Asphaltum,
Asparagus Racemosus, Desmodium Gangeticum, Uraria Picta, Curcuma
Zedoaria, Picrorhiza Kurroa, Barleria Prionitis, Boerhaavia Diffusa,
Elettaria Cardamomum, Glycyrrhiza Glabra, Sida Cordifolia, Cloruro di
sodio.
[15] L’orzo
perlato, anche nell’uso alimentare, ha qualità che facilitano il
metabolismo dei grassi.