Śiva e Śakti nel tantra śivaita e in quello buddhista
Materiali
Quando
leggo testi divulgativi (spesso purtroppo dozzinali) riguardanti il
Tantra, mi imbatto spesso in descrizioni e interpretazioni banali dei
concetti di Śiva e Śakti, che invece nella tradizioni tantriche
svolgono un ruolo essenziale, al punto da dare il nome a due
orientamenti dottrinali e rituali complementari: le scuole “śaiva”
e quelle “śakta”.
La
banalizzazione spesso consiste nell'identificare tout-court Śiva
e Śakti con l'uomo e la donna che prendono parte a un rituale
tantrico, spesso con un'esplicita sottolineatura di natura sessuale.
Si tratta di una convenzione entrata in uso nel mondo tantrico
occidentale contemporaneo che in sé non costituisce alcun problema,
a meno che finisca col mettere in ombra il vero e profondo
significato metaforico che i due termini possiedono e che ne fa in un
certo senso il cuore stesso del percorso tantrico.
La polarità
Per
recuperare l'autentico significato filosofico di questi due concetti,
occorre rifarsi al concetto di polarità, così presente in quasi
tutte le culture antiche del pianeta anche se declinato in modi
diversi. Nel mondo culturale cinese, ad esempio, così come in quello
greco (Eraclito di Efeso), la polarità è la cifra stessa del mondo,
in quanto le cose concrete vivono di essa: notte/giorno, buio/luce,
uomo/donna, alto/basso, sono solo alcuni degli infiniti esempi in cui
la polarità si manifesta. Il modello polare è stato assunto anche
dalla fisica contemporanea, riferito alle cariche delle particelle
subatomiche.
Tuttavia
in alcune aree culturali particolari (il Taoismo, la Qabbalah, le
dottrine non scritte del platonismo e il pensiero vedico-tantrico) il
concetto di polarità è stato applicato addirittura al Principio,
alla Divinità stessa. Quest'ultima viene pensata come dotata di due
dimensioni ontologiche:
- la prima, non-manifesta, esprime il Divino mistico, inesprimibile, che si può incontrare (ammesso che ciò sia possibile) solamente in stati di coscienza estatici;
- la seconda, manifesta, esprime il Divino visibile nel mondo concreto, il Divino che si fa natura, che si mostra dissimulato come “regola” (lógos, dharma) armonica universale che ordina e guida le cose, come rete coscienziale di tutto ciò che esiste.
Perciò
il Principio Divino è insieme Dio+Mondo, Dio con il proprio
“figlio”, della medesima natura, ma espresso nelle infinite forme
dell'energia e della materia.
I
Tantra, specialmente nella loro declinazione śivaita e buddhista,
hanno fatto propria questa sensibilità metafisica e l'hanno espressa
attraverso i concetti di Śiva e Śakti.
I Tantra śivaiti non-dualisti
Mettere
ordine nelle scuole tantriche antiche è impresa titanica e non è
certo questo il luogo per tentarla. Mi limito a dire che,
semplificando molto, vi sono tre tradizioni tantriche principali:
quella śivaita (in cui la divinità di riferimento è appunto Śiva),
quella buddhista e quella viśnuita (con Viśnu come
divinità principale), che viene considerata minoritaria.
All'interno
della tradizione śivaita vi
sono alcune scuole denominate “dualiste”, proprio perché pongono
una distinzione ontologica netta tra il Principio divino e il mondo
che da esso proviene, mentre altre, dette “non-dualiste”, negano
questa differenza ontologica e fanno propria l'idea di un Divino
“polare”, di cui ho trattato nel paragrafo precedente. Così
facendo rinunciano a “giudicare” gli opposti del mondo
(alto/basso, bello/brutto, buono/cattivo, puro/impuro, ecc.) proprio
perché sono tutti, allo stesso modo, espressione del Divino.
Proprio
all'interno di queste scuole, specialmente quelle appartenenti alla
tradizione del Kula,
si è formata e approfondita la nozione di polarità unificata,
espressa attraverso le immagini di Śiva e Śakti.
Il
principio originario, da cui proviene e a cui ritorna ogni realtà è
pensato come l'inscindibile unione di due aspetti: uno maschile
(Śiva)
e uno femminile (Śakti),
dove, tuttavia, i termini “maschile” e “femminile” non
indicano una diversità di genere, ma sono semplicemente espressione
metaforica dell'idea di una polarità che sia al contempo opposta e
complementare.
Śiva rappresenta
il divino nel suo aspetto non manifesto, l'idea primigenia, il
progetto dell'intero universo non ancora incarnato, l'Oltre, che
riposa immutabile oltre il velo di Maya.
Śakti indica
invece l'energia operativa del divino, quella che pone in essere il
progetto, che lo incarna e lo nutre, che manifesta il divino nel
mondo. Non sono due diverse entità, ma due aspetti inscindibili
della medesima entità.
I
Tantra non-dualisti riprendono perciò il concetto di polarità già
presente nella cultura vedica ed espresso nella filosofia Samkhya (la
base di tutte le metafisiche indiane), secondo cui Puruśa (lo
spirito) s'incarna attraverso Prakriti (l'energia/materia).
Vi è tuttavia una differenza sostanziale. Per il Samkhya questa
polarità descrive una differenza incommensurabile,
perché Puruśa e Prakriti appartengono
a ordini ontologici diversi. Se l'adepto che segue il Samkhya vuole
contattare lo spirito, deve mettere in conto di abbandonare
definitivamente l'orizzonte dell'energia/materia. Fra Dio (spirito) e
mondo (energia/materia) c'è uno iato incommensurabile e un percorso
evolutivo verso la trasformazione e il risveglio consiste
inevitabilmente nell'abbandonare il mondo. Si tratta di una teologia
e una pedagogia ascetica e rinunciante, che tende ad esprimersi in
tutto il mondo vedico e nello Yoga di
Patanjali.
Per
i Tantra non-dualisti, invece, Śiva e Śakti sono
due in uno. Non è possibile aderire ad un aspetto del divino senza
l'altro. Dio e mondo sono inscindibili, e tutta la sfera
dell'energia/materia è divina essa stessa.
Śiva rappresenta
l'informazione, il progetto, l'energia potenziale, il vuoto da cui
tutto proviene, mentre Śakti rappresenta
l'energia che realizza. Non ci può essere informazione senza
energia, né energia senza informazione. Il principio è una sorta di
inscindibile energia-informazione. La scuola Spanda (sempre
di tradizione Kula,
vicina al Trika)
aggiunge a tutto questo la convinzione che il nucleo originario di
tutto, che si manifesta in Śiva e
in Śakti,
non sia quiete, ma vibrazione eterna, frequenza, una sorta di
concetto ondulatorio del principio, che poi, man mano che si
manifesta, rallenta la sua vibrazione e decade in materia.
Energia-informazione,
frequenza. La concezione dell'universo dei Tantra non-dualisti ci
appare vicinissima in modo impressionante, ai più arditi modelli
della fisica occidentale contemporanea.
Śiva
e Śakti si incarnano...
I
concetti che ho espresso sono troppo filosofici per poter essere
accessibili a livello popolare. Se per il mondo brahminico (da cui
spesso provengono i maestri tantrici) queste speculazioni metafisiche
potevano essere quotidianità, per la gente comune era necessario
ricondurre i concetti di Śiva e Śakti a
qualcosa di più concreto.
Questa
è la ragione per cui, nelle scuole tantriche il riferimento
religioso è sempre stato quello di una coppia di divinità, una
maschile e una femminile che incarnassero in modo comprensibile i due
aspetti del divino. Molto spesso la figura maschile è stata quella
di Śiva stesso,
mentre quella femminile è più cangiante, con una certa presenza
dominante della figura di Kālī,
nelle sue più svariate forme, riletta in chiave esoterica rispetto
alla sua concezione tradizionale.
Spesso,
dietro le espressioni mitologiche di queste divinità, si possono
leggere potenti metafore, che possono essere utilizzate per
approfondire la lettura metafisica dei due principi.
L'analisi
di tutto ciò richiederebbe un libro. Mi limito, come semplice
suggestione, a guardare “in controluce” alcuni attributi
mitologici:
- per esempio, immagine comune è Śiva Naṭarāja, la divinità che danza all'interno di un cerchio (la sua danza si chiama “thandhav”), calpestando sotto i piedi il nano Apasmāra; tutto ciò simboleggia il fatto che dal e nel Principio divino non manifesto tutto nasce e tutto fa ritorno e la consapevolezza di queste eterna ciclicità annienta l'ignoranza (il nano);
- Kālī si adorna di una collana di teschi o teste mozzate, a indicare che essa distrugge l'ego individuale di chi si affida a lei; come dire che energia e consapevolezza aprono la dimensione transpersonale;
- Kālī spesso viene rappresentata come danzante sul corpo di uno Śiva, quasi cadavere, a indicare che senza l'energia e la consapevolezza l'informazione e la compassione sono come morte e non si manifestano e che comunque, dietro a qualunque mutevole manifestazione dell'energia, c'è il vuoto immutabile, con la sua eterna quiete.
I Tantra buddhisti
Mentre
le scuole tantriche induiste non-dualiste costruiscono questa ardita
visione del macrocosmo e insieme del microcosmo umano (che lo
riproduce), i Tantra buddhisti interpretano la
polarità Śiva/Śakti riflettendo
su quella che si potrebbe chiamare la “risonanza psichica” che
essa potrebbe avere nell'essere umano. Mutano i termini, ma anche in
questo caso viene immaginata una polarità maschile/femminile.
La
polarità “femminile”, denominata prajñapāramitā rappresenta
il vuoto, la verità assoluta che riposa in se stessa, la saggezza,
la consapevolezza,
mentre la polarità maschile, chiamata upāya,
significa “strumento”, e indica la varietà dei mezzi creati dal
Buddha e dai Bodhisattva per condurre gli esseri umani alla salvezza,
ovvero, in altre parole, l'espressione concreta della compassione del
divino per gli esseri viventi.
La
strada che conduce verso il risveglio, per il Buddhismo, richiede la
cooperazione indivisibile di questi due momenti: consapevolezza
e compassione,
letteralmente le
due “ali” dell'illuminazione.
Ripensati
insieme, i Tantra śivaiti non-dualisti e quelli buddhisti,
attraverso la loro concezione della polarità del Principio, ci
rimandano i quattro pilastri di ogni percorso evolutivo e di ogni
pedagogia ispirata ai Tantra: energia,
informazione, consapevolezza e compassione.
Un
percorso evolutivo che voglia dirsi “tantrico” deve perciò far
fiorire progressivamente questi quattro elementi:
- condurre il praticante ad attivare, potenziare, controllare, dirigere e utilizzare consapevolmente la propria energia;
- individuare le “informazioni” psichiche disfunzionali, non in armonia col Principio che ciascuno di noi si porta dentro e riscriverle;
- sviluppare la consapevolezza della propria vera natura, che muove dalla propriocettività, passa dalla capacità di guardare dall'esterno tutta la sfera emozionale e giunge alla percezione intima di essere della medesima natura del Principio, legati indissolubilmente con tutto. Come conseguenza di tutto ciò, far progressivamente scomparire le dimensioni dell' ”io” e del “mio”;
- proprio grazie a tale consapevolezza che fa venire meno l'individualità (per quanto possibile nella vita incarnata), vivere profondamente la compassione con qualunque essere vivente che è la percezione del legame con tutti gli esseri, fiorita di amorevolezza.
Perciò,
in ogni percorso tantrico degno di questo nome, che creda nelle
dimensioni Śiva e Śakti,
l'atteggiamento spirituale non può essere ascetico e rinunciante:
l'Oltre e il mondo non sono opposti e incommensurabili, ma
costituiscono le due polarità dell'Unico Principio. La Diade che
riposa nell'Uno.
Non
è l'ode al possesso, al perdersi negli oggetti o all'annegarsi nel
piacere o nelle emozioni; tutt'altro. Venuto meno “io” e “mio”,
il mondo-divino è oggetto di contemplazione e adorazione, non di
sfruttamento, luogo di bellezza non di potere.
E
in questo, francamente, mi sembra che il mondo contemporaneo abbia
davvero un disperato bisogno di Tantra...!