Verità e realtà nello yoga tantrico
Materiali
Il
tema della verità e, reciprocamente, della menzogna è uno dei più
complessi rispetto a cui lo yoga tantrico propone un più alto punto
di vista. Si tratta di un nodo evolutivo notevole, perché richiede
di uscire da prospettive convenzionali estremamente radicate.
La
tradizione culturale occidentale, la sensibilità comune e il
pensiero filosofico, ritengono che “verità” sia la situazione in
cui le parole, ossia il pensiero, esprima esattamente la “realtà”.
Una famosa espressione filosofica della verità la
definisce “adequatio
mentis ad rem”,
l'adeguarsi (cioè la corrispondenza) della mente alle cose.
Questa
definizione sembra assolutamente ovvia e condivisibile, e si regge su
alcuni assunti gnoseologici:
- esiste un'entità oggettiva che chiamiamo “realtà”, costituita di cose, persone, eventi, “fatti”;
- tale realtà è conoscibile;
- quando il processo conoscitivo è corretto la realtà viene pensata, detta e compresa da tutti nello stesso modo;
- c'è una sola “verità” che esprime la realtà di un fatto, evento, cosa o persona in un certo momento.
In
questa concezione, la “verità” è un processo che riguarda il
rapporto tra me e qualcosa che sta fuori di me: la cosiddetta
“realtà” (esterna). Stando così le cose, è possibile
distinguere con chiarezza verità e menzogna, aggiungendo un giudizio
etico di approvazione per la prima e di disapprovazione per la
seconda.
Nella
prospettiva tantrica tutti questi presupposti sono messi in
discussione e il punto di vista cambia radicalmente:
- non esiste alcuna realtà distinguibile dall'interpretazione che noi diamo di essa; esiste soltanto la realtà-interpretazione;
- ciascuno dà una propria interpretazione e dunque esistono molte realtà-interpretazione diverse;
- ogni volta che la nostra coscienza compie un salto evolutivo, mutando radicalmente la nostra interpretazione, anche la “verità” muta radicalmente. In sostanza, ciò che sembra vero ad un determinato livello coscienziale, smette di esserlo ad un livello più espanso;
- è necessario andare oltre il dualismo verità/menzogna, come per qualunque altro dualismo.
Nella
cultura vedica ricorre spesso l'esempio della corda e del serpente.
Se, mentre sto camminando, scambio una corda per un serpente, ho
tutte le reazioni fisiologiche di uno che abbia visto un serpente:
paura, palpitazioni, arresto respiratorio, sudorazione, paralisi
motoria, ecc.
Viene
da dire: “Sì, però è “falso”; il serpente non c'è.”
Il
fatto è che, per me, c'è. Di conseguenza, la “realtà”, sia
esterna che interna, per me, in quel momento, si modella in base alla
mia interpretazione. La minaccia è talmente “reale” che potrei
avere un infarto per la paura.
Già
all'interno della conoscenza sensoriale, l'interpretazione è
decisiva per distinguere tra “realtà” e “irrealtà”. Tale
interpretazione, dipende assai più dalla psiche che non dallo stato
di salute dei sensi. Se scambio una corda per un serpente significa
che, molto probabilmente, temo i serpenti, credo che sia plausibile
trovare in quel luogo dei serpenti, sono in all'erta contro i
serpenti, ecc. Ciò che vedo è sempre la realtà-interpretazione,
che significa la realtà più i miei “mostri” interiori.
Nel
mondo dei Kahuna hawaiiani, il primo principio della sapienza Huna è
esattamente questo: “la realtà è ciò che pensi che sia”.
Ciascuno indossa un suo personale “paio di occhiali” e di fronte
a qualunque “fatto” ha una sua interpretazione che altera la
sostanza stessa del fatto. Tra l'altro, i “fatti” sono in numero
praticamente infinito; già solo la scelta conscia o inconscia di
notarne alcuni e non altri, è interpretativa e distorcente. Vediamo
ciò che abbiamo negli occhi, nel cuore e nella mente. Non più
“adequatio mentis ad rem”, ma “actio mentis in rem”; la mente
va a costituire la realtà che vuole.
Questo
significa negare l'esistenza della “realtà in sé”?
La
“realtà in sé”, ammesso che abbia un senso utilizzare una
simile espressione, è un ammasso infinito di eventi, cose, persone,
situazioni, senza alcun senso, senza alcun rapporto. In questo
ammasso infinito noi, in base a nostre spinte psichiche spesso
inconsce, decidiamo arbitrariamente di selezionare alcune fra queste
cose, immaginiamo dei rapporti fra di esse e attribuiamo loro un
senso. E poi abbiamo la pretesa di chiamare “realtà” questa
immensa e inconsapevole “operazione redazionale”, e “verità”
le parole (spesso inadeguate) che la esprimono.
Dato
che tutto questo è un castello costruito da noi stessi, è facile
sperimentare che, quando nella nostra coscienza accade un salto
evolutivo, la nostra percezione di cosa sia “vero” e cosa
“falso”, cambia radicalmente.
Un
esempio può essere illuminante.
Da
un piccolo buco, assisto al litigio fra due persone: un uomo e una
donna. La donna fa delle accuse, l'uomo risponde. Seguo la
discussione e, quasi naturalmente, mi faccio un'idea su chi abbia
ragione e chi torto, chi dice la verità e chi mente e posso arrivare
a formulare un giudizio etico sull'uno e sull'altra. È la solita
coppia che litiga, da come parlano, secondo me, ha ragione lei.
Potrebbero anche separarsi...
Poi,
però, il buco da cui sto guardando si allarga un po' e scopro che i
due sono su un palcoscenico! Ma allora cambia tutto! Stanno
recitando, era tutto finto, non è vero che lui è un cialtrone e lei
una santa, stavano solo interpretando una parte, è una commedia. E a
questo punto posso dire: “beh, però lei recita davvero male!
Troppo enfatizzata...” Il mio punto di vista è mutato totalmente.
La “verità” di prima si è dissolta e ne è sorta un'altra. Ed è
partito un altro tipo di giudizio.
Poi
il buco si allarga ancora e vedo che attorno ai due, sul
palcoscenico, ci sono altre persone che osservano, tra cui uno
psicologo che poi interpreta ciò che i due hanno detto e come si
sono mossi. Ma allora non è una recita! È una seduta di
dramma-terapia, uno scavo coscienziale e psicologico. Allora lei non
è un'attrice, perciò è normale che non sappia recitare! L'enfasi è
dovuta al fatto che sta esprimendo i suoi mostri! Però, lo
psicologo, com'è bravo... capisce, interpreta, chiarisce...
veramente in gamba... se avessi bisogno io, lo chiamo...
Poi
il buco si amplia ancora e vedo intorno al gruppo alcune macchine da
presa: non è dramma-terapia, è un film! stanno girando un originale
televisivo sulla vita di Moreno, l'inventore dello psicodramma. Ma
allora lo psicologo bravo non è neppure uno psicologo: è un attore
che recita un copione. In realtà lui non capisce niente, non sa né
leggere né interpretare. E così la realtà/verità è cambiata
un'altra volta...
Ogni
volta che la nostra dimensione coscienziale (il “buco” da cui
vediamo) si amplia, la realtà ci appare diversa e la “verità”
cambia radicalmente: la donna dell'esempio, prima è la vittima di un
sopruso, poi un'attrice mediocre, poi una persona con turbe psichiche
e poi torna ad essere un'attrice mediocre (oppure è il “regista”
mediocre?)...
Ad
ogni “salto quantico” della coscienza, la nostra
realtà-interpretazione muta radicalmente; non vediamo più ciò che
vedevamo prima e, in compenso, vediamo altre cose, altri rapporti.
Nel mondo Zen, questa è esattamente la funzione dei “koan”, le
domande che non hanno alcuna risposta, o meglio, le domande la cui
risposta, dilatando la coscienza, fa scoprire l'insensatezza della
domanda stessa e la fa svanire.
Questa
è la provocazione dello yoga tantrico: si può parlare di verità o
falsità, di realtà o irrealtà solo quando si arriva ad avere lo
sguardo totale dell'Assoluto. Prima ci sono unicamente i nostri
distorti, distorcenti e limitati punti di vista. Perciò ogni scontro
con gli altri su ciò che è vero e ciò che è falso, ogni pretesa
di affermare come sia la realtà “vera”, è del tutto inutile:
tempo totalmente sprecato, consumo di energia senza alcuno scopo.
Qualunque
sia la nostra realtà-interpretazione, non ci dobbiamo attaccare ad
essa, perché sarà sufficiente un cambio di prospettiva (della
mente) o un salto evolutivo (della coscienza) e ne nascerà un'altra,
con tutt'altre “verità”.
Le
due prospettive non sono identiche. Un cambio di prospettiva della
mente è solo un'altra giravolta sulla giostra dei nostri
mostriciattoli interiori, mentre un salto evolutivo della coscienza è
un piccolo passo verso il punto di vista universale.
Come
si distinguono l'una dall'altro? Un salto evolutivo della coscienza è
pacificante, spegne il giudizio, acquieta la rabbia, smorza
l'attaccamento, diminuisce l'ego, apre il cuore. Senza questi segnali
– presenti in modo stabile – la nostra nuova
realtà-interpretazione è solo l'ennesima capriola della psiche.
Ma
allora non esistono verità e menzogna?
La
lezione che dobbiamo imparare è proprio questa: la verità/menzogna
con cui abbiamo a che fare non è quella in rapporto alla cose o alle
persone esterne a noi, ma quella tutta interna a noi stessi.
La
menzogna è una dimensione di scissione esistenziale: consiste nel
negare con la mente, con le parole, con i concetti, con gli
schematismi, ciò che abbiamo sentito nel corpo, nei sensi,
nell'azione e nel cuore.
Questa
è la menzogna che ci divide in due, perché tronca il collegamento
fra la dimensione mentale e quella emozionale, tra spirito, mente e
corpo.
Ciò
non significa che ciò che ho sentito nel corpo, nei sensi,
nell'azione e nel cuore sia più “vero” di ciò che ho pensato,
ma è certamente più immediato, nel senso di non-mediato. Per lo
yoga tantrico, se si fa un po' di lavoro di “pulizia” sensoriale,
psichica, emozionale, ecc. (e la sadhana tantrica serve anche a
questo), ci si può porre in relazione con gli altri sulla base di
ciò che si percepisce energeticamente: grazie a questa “intelligenza
del cuore”, si sente ciò che accomuna e non ciò che divide, si va
oltre gli schemi della mente e l'inadeguata espressione delle parole.
Questo
modo di relazionarsi con cose e persone sulla base di questo “sentire
purificato”, invece che sulla base di teorie e parole, conduce a
quel salto coscienziale che consente nuove e più ampie prospettive
di comprensione.
E
la “realtà” muta.
La
“verità” cambia.