La concezione bioenergetica dell'ayurveda

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La concezione bioenergetica dell'ayurveda

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Pubblicato da Luigi Lacchini in ayurveda · 19 Settembre 2003
Tags: ayurvedakoshamarmameridianinadichakra
La concezione bioenergetica dell'ayurveda
La dimensione energetica dell'essere umano


Le concezioni antropologiche orientali, sia quelle che fanno capo alla Medicina Tradizionale Cinese, che quelle legate all’Ayurveda, sono caratterizzate da una complessa teoria riguardante la dimensione bio-energetica dell’essere umano e di tutte le creature viventi.
Tale concezione, oltre ad essere di primaria importanza nella pratica delle relative scienze mediche e dei trattamenti ad esse collegate, costituisce anche una provocazione culturale per avvicinare un modo totalmente diverso di concepire l’essere umano e la natura. Tale visione, lungi dall’essere una mera costruzione fantastica o simbolica, tende sempre più ad avere anche conferme scientifiche o, quanto meno, a rivendicare una plausibilità razionale, chiedendo alla nostra concezione della natura, della salute e della malattia, di mutare radicalmente.
In un certo senso, per maggiore correttezza, occorrerebbe parlare di concezione bioenergetica del mondo indo-vedico, in quanto attinge nozioni da fonti non mediche (upanishad, filosofia Samkhya, ecc.) ed è condivisa da molte tradizioni di pensiero e “vie” di realizzazione, quali, ad esempio, lo yoga e il tantra (almeno certe scuole tradizionali).
Tuttavia, l’Ayurveda, con il suo consueto atteggiamento sincretico, anche per via degli obiettivi terapeutici che si prefigge, fa proprie persino tradizioni bioenergetiche non consuete alla tradizione indo-vedica, come, ad esempio i meridiani.
Pertanto non si esagera, affermando che l’Ayurveda possiede la concezione bioenergetica dell’essere umano più complessa di tutto il mondo orientale.
Gli elementi-chiave di questa concezione bioenergetica sono:

  • Gli “involucri” energetici (kosha) che costituiscono il campo aurico
  • I chakra (di cui non tratterò in questo breve testo)
  • Le nadi yogiche
  • I plessi marma, che modernamente raccolgono anche i punti utilizzati dal kum nye tibetano
  • I meridiani energetici e i punti relativi

Si tratta di una complessa struttura che, per essere padroneggiata, richiede anni di studio e applicazione. D’altra parte, se non si apre questo difficile capitolo, l’ayurveda e i suoi trattamenti perdono l’aspetto più profondo, psicosomatico e spirituale, finendo con l’essere un semplice insieme di tecniche massoterapiche e suggerimenti naturopatici.

1. I cinque involucri dell’essere

La teoria dei cinque “involucri” (kosha) che costituiscono la struttura dell’essere, “avvolgendo” il nucleo spirituale dell’individuo, è stata descritta nella Taittiriya Upanishad.
Il testo presenta la scoperta di questi involucri come una sorta di viaggio dell’interiorità, che muove dal corpo fisico e, andando sempre più in profondità (una profondità metafisica), giunge ad incontrare Atman, lo Spirito.
Nell’esoterismo moderno, questo viaggio spirituale viene rappresentato mediante la teoria dei corpi energetici. In sostanza, si afferma che, attorno al corpo fisico, vi sono altri corpi (il cui numero è variabile a seconda delle varie tradizioni esoteriche), costituiti da pura energia, che rappresentano livelli sempre più elevati di esistenza. Questa concezione esoterica, di fatto, esprime la medesima visione della Taittiriya Upanishad, ma costruendo l’immagine al contrario, ossia ponendo il corpo fisico (il livello vibrazionale più basso) come “contenuto” nei livelli più elevati e facendo quindi propria – forse inconsapevolmente – l’immagine proposta da Platone, dell’essere umano come di un corpo contenuto in un’anima e non viceversa.
In fondo i due modelli possono ben armonizzarsi, e le aure esterne relative ai vari corpi, che i sensitivi affermano di vedere distintamente, potrebbero essere né più né meno che espressioni energetiche esteriori di livelli esistenziali interiori, in una corrispondenza tra un “fuori” e un “dentro” puramente metafisici.
I cinque livelli o “involucri” (kosha) dell’essere sono:

  • Annamaya kosha – il livello vibrazionale più basso, determinato dal corpo fisico-materiale, costituito dai 5 elementi, dai dosha, fabbricato grazie al cibo;
  • Pranamaya kosha – il secondo livello vibrazionale, puramente energetico, l’involucro del prana, che dà energia vitale al livello fisico-materiale;
  • Manomaya kosha – il terzo livello vibrazionale, costituito da manas, la mente sensoriale ed emozionale, cui compete appunto l’energia delle emozioni e delle sensazioni;
  • Vijnanamaya kosha – il quarto livello vibrazionale, costituito da buddhi, la mente intellettiva, il fuoco dell’intelligenza del cuore, capace di “metabolizzare” energie ed esperienze sensoriali ed emozionali, riconoscendo in esse il significato universale che vi si nasconde;
  • Anandamaya kosha – il quinto livello vibrazionale, costituito da citta, è il puro livello della coscienza, l’inizio dell’osservare puro, dimensione che dischiude l’alba dello spirito.

Al di là di questi cinque involucri riposa Atman, il “Sé” spirituale, chiamato unicamente a recuperare la consapevolezza di essere “scintilla di Dio” e, in questa dimensione, capace di vivere un’esistenza di autentico essere-verità (sat), consapevolezza infinita (chit) e beatitudine (ananda).
È notevole sottolineare che, per il testo upanishadico, i primi 4 livelli vibrazionali, dal corpo fisico al corpo mentale, appartengono al mondo del non-essere, non nel senso che non esistano, ma perché non possono essere detti veramente e profondamente “essere”: troppe le limitazioni di cui soffrono, troppo forte l’effetto dell’impermanenza (che si attenua soltanto in vijnanamaya kosha).
In sostanza, per la sensibilità filosofica indiana, stranamente "parmenidea", ciò che non è sempre o non è in modo assoluto, non può davvero chiamarsi “essere”.
Vivere a livello dei primi due corpi significa, in un certo senso, esistere a livello del sonno profondo, completamente inconsapevoli e privi di ogni reale percezione. Vivere a livello di manas o di buddhi è un po’ come essere in uno stato di sogno, dove alcune percezioni vengono raccolte, sussiste una forma di comunicazione e c’è un certo livello di consapevolezza, ma all’interno di un mondo chiuso e generato dal pensiero.
Solo l’esistenza ai due ultimi livelli può essere paragonata davvero alla situazione di veglia lucida e consapevole e, proprio in questo senso, è possibile parlare di colui che vive nella piena consapevolezza di Citta e dell’Atman, come di un “risvegliato”, ossia un “Buddha”.
Si tratta naturalmente solo di metafore, pensate per esprimere una semplice convinzione: che l’esistenza può essere vissuta e giocata a vari livelli e il dharma dell’essere umano consiste proprio nello sperimentare stati vibrazionali di esistenza sempre più elevati, sino a riconnettersi con il Sé spirituale, riscoprendo la propria vita come racchiusa nell’Assoluto.
L’anima umana, a livello inconscio, già “conosce” queste verità. L’incarnazione serve per farne esperienza. Solo quando la conoscenza diviene esperienza totale, si può davvero dire di “essere” ad un certo livello di esistenza.

2. E in concreto…?

La teoria dei kosha può senza dubbio costituire un importante spunto di meditazione, ma ci si può chiedere se, sotto il profilo terapeutico, abbia una qualche influenza e utilizzo nella pratica ayurvedica.
Di fatto, l’esistenza dei corpi energetici può costituire la base di tutto il lavoro diagnostico e terapeutico effettuato direttamente sull’aura del cliente che, per così dire, è l’insieme dei vari corpi energetici.
Il lavoro aurico, si sostanzia in una serie di competenze che possono essere progressivamente acquisite:
  • Sensibilità propriocettiva circa la propria situazione bioenergetica
  • Capacità di “muovere” e bilanciare la propria energia attraverso il respiro, il pensiero intenzionale e la visualizzazione
  • Capacità percettiva tattile dei propri ed altrui campi aurici e sviluppo della finezza percettiva che consente di leggere la “qualità” dei campi percepiti (analisi energetica della vikriti) e di percepire blocchi, sovraccarichi e vuoti;
  • Capacità di “spostare” campi bioenergetici altrui mediante tecniche di ripulitura locale dell’aura;
  • Capacità di canalizzare bioenergia verso altre persone dallo stato di vuoto mentale.
L’aspetto davvero interessante di queste tecniche e metodologie, più che non lo sviluppo di particolari attitudini diagnostiche e terapeutiche (che spesso restano oltremodo dubbie!) è la capacità di prendere consapevolezza della dimensione bioenergetica, di creare le condizioni per insight potenti e di fare esperienza di un livello diverso di vita. Tutte cose che possono cambiare radicalmente la visione di vita del terapista e quindi, indirettamente, anche dei suoi assistiti.

3. Pranamaya kosha e le sue manifestazioni sul corpo fisico

La teoria dei kosha consente di fare un po’ d’ordine circa la natura delle altre strutture bioenergetiche dell’essere umano:
  • Nadi, meridiani, punti di agopuntura e plessi marma sono strutture appartenenti al corpo eterico (pranico), ossia a pranamaya kosha, ma che si trovano sul corpo, pur non avendo una struttura anatomicamente o fisiologicamente rilevabile
  • I chakra, sono invece una struttura molto più complessa, che pur radicandosi sul corpo fisico, attraversa tutti gli altri involucri, sino ad andare a contattare anandamaya kosha, il corpo causale, ove si trova la programmazione dharmica e karmica riguardante l’individuo.
  • Tutte le altre dimensioni, quella emozionale-sensitiva-istintuale, l’intelligenza e la coscienza, influenzano e vengono influenzate dalla rete energetica di pranamaya kosha e, attraverso di essa, si interfacciano anche con il corpo fisico. Su tali strutture si interviene non tanto attraverso manipolazioni o trattamenti, ma attraverso una sadhana, ossia una disciplina quotidiana che passa anche attraverso la scelta di alcune realtà fisiche (cibo, purificazione), sociali (persone frequentate, maschere e condizionamenti) e ambientali (energie dei luoghi, ritmi di vita, ecc.), oltre, naturalmente, alla meditazione.

4. I plessi “marma”

Le varie concezioni mediche orientali per lo più concordano sul fatto che, sul corpo umano, siano presenti alcuni punti speciali, dove l’energia si manifesta in maniera più eclatante, veri e propri punti vitali da colpire per distruggere l’avversario – come avviene nelle arti marziali del Kalarippayattu in India o dello Shaolin in Cina – o da manipolare sapientemente per guarire malattie, come nell’agopuntura, nel tuina, nello shiatsu  o nel marma cikitsa. Anche la tradizione terapeutica musulmana insiste sulla conoscenza di opportuni “punti di pressione” denominati muqame makhsoos che spesso coincidono con i punti della reflessologia occidentale.
Dal punto di vista della scienza occidentale, si tratta, senza dubbio, di punti che attivano riflessi viscerosomatici e ciò resta vero anche per le medicine orientali, ma queste ultime vedono nei punti vitali qualcosa di più: sono zone che consentono di attuare una vera e propria terapia energetica.
Per la tradizione ayurvedica i plessi vitali del corpo vengono denominati “marma”, che significa “segreto”, in quanto si tratta di punti che – data la loro grande efficacia – venivano insegnati soltanto agli allievi più avanzati e fidati.

4.1 Cosa sono i “marma”

Innanzi tutto alcune precisazioni sulla grafia e le traslitterazioni.
In Hindi, il termine usato per indicare i plessi vitali è “marma” (talvolta si usa il plurale all’inglese: “marmas”), mentre in sanscrito è “marman”.
In lingua tamil vengono denominati “varman” e in lingua malayalam si chiamano “marmmam”.
Si tratta di precisazioni aride quanto necessarie, per chiarire l’origine di eventuali differenze di denominazione che si possono incontrare sui testi specializzati.
Comunque li si voglia chiamare, si tratta di punti, o meglio di “plessi”, localizzati in particolari zone anatomiche, caratterizzate dalla presenza contemporanea di almeno due (ma secondo Sushruta Samhita addirittura cinque) strutture fra le seguenti:
  • vasi sanguigni
  • ossa
  • nervi
  • muscoli
  • legamenti
  • articolazioni

Da un punto di vista energetico, i marma si considerano attivi quando in essi scorre il prana, con intensità e concentrazione differente a seconda delle fasi del calendario lunare. I marma, dunque, come gli “tsubo” della MTC, costituiscono veri e propri punti di accesso al sistema energetico (cioè elettromagnetico) del corpo.
Secondo la dottrina ayurvedica, nei marma sono presenti sia i tre dosha (Vata, Pitta, Kapha) che i tre Guna (Sattva, Rajas e Tamas).

4.2 Le tradizioni riguardanti i marma

Quanti sono i marma? Dove sono localizzati?
Chiedersi questo significa addentrarsi nel complesso mondo delle tradizioni mediche e dei testi tradizionali che le sostengono.
Come per le tecniche di massaggio, anche per quanto riguarda i marma, si possono individuare nella cultura indiana due principali tradizioni:
  • La tradizione autenticamente ayurvedica, normalmente indicata con il nome del saggio Parashurama, che individua 107 marma, identificati da 43 nomi per un totale di oltre 150 plessi.
  • La tradizione del sud, dravidica, che si ricollega alla tradizione medica siddha e viene denominata “Agasthya”, dal nome di un altro saggio. È la tradizione seguita dai praticanti del varma ati e dai medici siddha. Questa tradizione individua 108 marma, ciascuno con nome proprio.

Accanto a queste due tradizioni  va ricordata la categoria degli yogamarmmam che non si troverebbero sul corpo fisico, ma su quello eterico (sukshma sharira) e sarebbero in tutto 32, attivabili con lo sguardo o con il puntamento dell’indice da un operatore dotato di adeguati poteri energetici.
Nell’ayurveda moderno si è instaurata l’abitudine di utilizzare quali punti marma anche quelli usati dal Kum Nye tibetano, che talvolta coincidono con marma e punti tsubo, mentre altre volte costituiscono un ulteriore incremento di zone d’intervento.
4.3 Marma chikitsa

Ben presto, all’interno delle scuole ci si rese conto che, se da una parte era facile danneggiare il corpo di un uomo colpendolo sui punti marma, era però anche possibile, attraverso stimolazioni opportune, sfruttare terapeuticamente la particolare “energia vitale” che nei marma si trova.
Da qui, nel corso dei secoli, si sono sviluppate le tecniche di “marma chikitsa”, ossia le varie forme di trattamento dei marma. Le principali sono le seguenti:
  • Marmabhyangam – massaggio dei marma effettuato con olio.
  • Attivazione dei marma a secco – utilizzando tecniche di digitopressione, palmopressione e altre manualità simili al tuina cinese.
  • Rakta moksha – salasso effettuato sui punti marma.
  • Suchi karma – una sorta di agopuntura effettuata sui marma invece che sui punti dei meridiani.[1]
  • Agni karma – terapia del calore, effettuata mediante sottili bastoncini di metallo riscaldati.[2]
  • Micropindasveda – modalità alternativa di agni karma, più comune in thailandia.
  • Lepa – impiastri medicati caldi da applicare sui marma.
  • Kshara karma – applicazione di sostanze alcaline,[3] considerata una variante di agni karma.
  • Cundumarmmam – attivazione aurica tramite l’indice della mano.
  • Nokkumarmmam – attivazione aurica mediante lo sguardo e il pensiero.[4]

4.4 Le mappe dei plessi marma

Purtroppo, se si guardano le mappe disponibili che descrivono i plessi marma, non si può che prendere atto di una grande confusione.
A parte alcuni plessi, posizionati e denominati in modo univoco da tutte le tradizioni, gran parte dei plessi marma cambia denominazione e posizione sul corpo a seconda dell’area geografica della scuola, o dei vari maestri.
Ciò senza dubbio si spiega, almeno in parte, per il carattere familiare e non istituzionalizzato che ha caratterizzato l’insegnamento dell’ayurveda per molti secoli e quindi per la particolare sottolineatura che ciascun maestro – nella sua pratica quotidiana – ha voluto dare a questo o quel plesso energetico. Ciò, tuttavia, non ne agevola lo studio, né l’utilizzo terapeutico concreto che, non a caso, finisce col preferire i punti dell’agopuntura, anatomicamente ben individuabili e dalle caratteristiche terapeutiche meglio documentate.
Tuttavia, il bodywork effettuato attraverso i marma si rivela potente, soprattutto sotto il profilo psicosomatico; una vera e propria meditazione corporea in grado di portare il ricevente in stati di coscienza diversi da quello di veglia ordinaria e di evocare reazioni psicosomatiche e intense consapevolezze.
Purtroppo, le attuali scuole di ayurveda, invece di affrontare il problema con elasticità e valorizzare le diverse mappature dei plessi marma ritenendole alternative, tendono piuttosto a chiudersi, concludendo sbrigativamente che la propria mappa è corretta e le altre inevitabilmente sbagliate. Perciò non è raro, per gli studiosi, frequentare un corso di marmabhyangam con una scuola e imparare una certa mappa che viene poi completamente squalificata se si va a frequentare una scuola diversa. Il tutto è piuttosto irritante.
Il suggerimento operativo potrebbe essere il seguente: imparare bene una certa mappa (attendibile), applicarla a fondo sino a renderla automatica. Poi, in un secondo tempo, avvicinarne altre e studiare le varianti che altre scuole propongono, ma a partire da un riferimento sicuro. In questo modo si può evitare la confusione valorizzando le differenze.
La cosa davvero importante non è tanto quella di imparare a memoria un insieme di punti, quasi fossero bottoni da pigiare, ma di comprendere perché di un determinato marma vengono date molte varianti. Bisogna riflettere su quali strutture anatomo-fisiologiche il marma sta operando, “ascoltarne” la qualità energetica.
Il lavoro di bodywork attraverso i marma richiede un operatore altamente consapevole, di elevate capacità d’ascolto, capace di grande silenzio interiore e di rimanere in atteggiamento meditativo per tutto il trattamento, abile nell’utilizzare il proprio respiro e, se ritiene opportuno, la visualizzazione.
Personalmente ritengo l’insegnamento delle tecniche con i marma come il coronamento di un percorso di formazione ayurvedica, non certo l’inizio. Diversamente si ottiene solamente un operatore che agisce in modo meccanico, tradendo alla radice la natura energetica e meditativa dell’ayurveda.
5. Le nadi

Nello yoga, nel tantra e nell’ayurveda, con il termine “nadi” si intende un insieme di “canali” metafisici, in cui scorre l’energia del prana. In effetti il concetto è del tutto simile a quello dei “meridiani” della MTC, ma la caratterizzazione differente e l’utilità pratica per il terapista assai più limitata.
Innanzi tutto i meridiani sono collegati ad un elemento (loggia energetica) e presentano quindi caratteristiche psicosomatiche precise e largamente conosciute, mentre le funzioni assegnate alle nadi yogiche sono assai più controverse. Inoltre i meridiani corrono relativamente superficiali e presentano dei punti di accesso (gli tsubo, appunto), che li rendono “manipolabili” con varie tecniche, mentre i percorsi delle nadi yogiche sono essenzialmente profondi e senza punti di accesso, per cui possono essere lavorate soltanto “dall’interno”, attraverso il respiro e la visualizzazione. Esse costituiscono perciò piuttosto uno strumento per lavorare con la propria energia che non per muovere quella di un altro soggetto. Le nadi in sostanza costituiscono quel "corpo alchemico" caro al Tantra, che più che "esistere" realmente è una proiezione energetica (non per questo meno "vera" ed efficace) del soggetto.
Il sistema energetico è formato da 14 nadi principali,[5] di cui 3 fondamentali:
  • Sushumna
  • Ida
  • Pingala

Sushumna è localizzata all’interno dell’asse cerebro-spinale: inizia al perineo e giunge nello spazio fra i due emisferi cerebrali, sino al settimo chakra. Essa costituisce il “condotto” pranico su cui si innestano i sette chakra principali (raja chakra). Non coincide né con “vaso governatore” né con “vaso concezione” della MTC, perché questi ultimi corrono rispettivamente sulla schiena e sull’addome, seguendo in superficie la linea della colonna vertebrale, mentre sushumna è rappresentata al centro della colonna stessa, nel canale midollare.
Ida è il canale principale della parte sinistra del corpo. Corre dalla parte sinistra dei genitali (dal testicolo sinistro nei maschi) sino alla narice sinistra. Secondo alcune tradizioni Ida corre semplicemente alla sinistra di sushumna, mentre per altre, più numerose e accreditate, sale a spirale, avvolgendo i chakra (sino al 5°).
Nella tradizione yogica Ida viene attivata con la respirazione dalla narice sinistra. Esprime l’energia lunare (chandra), yin, notturna, femminile, fredda, silenziosa. Per questo si ritiene che la sua energia calmi i nervi  e la mente, favorisca la visualizzazione interiore e la creatività. La pratica del pranayama suggerisce la respirazione con la narice sinistra soprattutto di giorno, per riequilibrare con energia lunare quella prevalentemente solare dell’ambiente.
Pingala è il reciproco di Ida, ossia il canale principale della parte destra del corpo, che corre dalla parte destra dei genitali (testicolo destro nel maschio) sino alla narice destra. Il percorso è simmetrico a quello di Ida. Il percorso delle due nadi insieme costituisce la ben nota immagine “ad elica” che rappresenta l’energia “kundalini” ed è il simbolo stesso del Tantra. Pingala esprime l’energia solare (surya), yang, diurna, maschile, calda, estrovertita. Perciò, nella pratica del pranayama, il respiro dalla narice destra si ritiene che stimoli l’energia dinamica del corpo, favorendo il vigore, la vitalità e la dimensione razionale e pragmatica dell’esistenza. Per questo si suggerisce di attendere alla respirazione dalla narice destra soprattutto di notte, per bilanciare l’energia lunare dell’ambiente.

5.1 Le 4 nadi dipendenti da Ida e Pingala

Legate a Ida e a Pingala vi sono altre due coppie di nadi:
   
Nadi   dipendenti di Ida
  • Gandhari – dall’occhio sinistro all’alluce del piede sinistro
  • Hastajihva – dall’occhio destro all’alluce del piede sinistro

Nadi   dipendenti di Pingala           
  • Yashasvini – dall’orecchio sinistro   all’alluce del piede destro           
  • Pusha – dall’orecchio destro   all’alluce del piede sinistro      
Queste due coppie di nadi meritano qualche considerazione. Gandhari e Hastajihva sembrano confermare la concezione della MTC circa il rapporto tra l’energia del meridiano del fegato (che parte proprio dall’alluce) e gli occhi. Nella MTC il meridiano del fegato, nel suo percorso superficiale accessibile, termina ben lontano dagli occhi, ma i testi antichi indicano un percorso interno più profondo che giunge sino agli occhi. Fra l’altro, anche il meridiano del fegato è yin, lunare, femminile.
Inoltre le quattro nadi rendono comprensibile lo strano “uso” degli indiani di massaggiarsi continuamente i piedi, specialmente l’alluce. Ciò viene fatto, consapevolmente o no, per stimolare udito e vista.
Si potrebbe inoltre dare una lettura simbolica di queste quattro nadi: le due legate a Ida, hanno a che fare con la vista, mentre le due legate all’udito hanno a che fare con Pingala. Metaforicamente si potrebbe dire che la funzione del “vedere”, specialmente la vista profonda, intellettiva, della comprensione, viene alimentata dal silenzio e dall’energia lunare di Ida, mentre l’udire (e dunque anche il parlare), ovvero le funzioni di socializzazione per eccellenza, sono prerogativa dell’energia solare, yang, attiva.
5.2 Le altre 7 nadi
  • Alambusha – dall’ano alla bocca; gestisce l’energia di assimilazione ed evacuazione dei cibi e delle idee.
  • Varuni – inizia fra la gola e l’orecchio sinistro e termina all’ano; di fatto corre in senso opposto e parallelo ad Alambusha, con la medesima funzione.
  • Shankhini – dalla gola all’ano; è in rapporto con apana vata.
  • Kuhu – dalla gola ai genitali; sottolinea il rapporto tra nutrizione e sessualità, tra comunicazione e relazionalità. Nel Tantra sottolinea il rapporto tra oralità e genitalità.
  • Saraswati – dalla lingua alle corde vocali; gestisce l’energia della parola e della diffusione della conoscenza; è una nadi lunare.
  • Pasyasvini – dal lobo dell’orecchio destro alla testa. Esprime probabilmente il rapporto tra udire e comprendere, nonché tra udire e pensare.
  • Vishvodara – intorno all’ombelico, alimenta le surrenali e il pancreas. È la nadi del centro energetico in cui si raccoglie il prana, situato tre dita sotto l’ombelico e noto a tutte le tradizioni filosofiche dell’oriente.

[1] Va detto che molte scuole ayurvediche contemporanee rifiutano l’infissione di aghi come tecnica terapeutica.
[2] Una sorta di variante della moxibustione cinese.
[3] Procedimento simile alla cauterizzazione chimica effettuata nella medicina occidentale.
[4] Ovviamente queste ultime due tecniche vengono praticate soltanto nelle scuole di marcata caratterizzazione esoterica e soltanto da soggetti ritenuti capaci di canalizzare e irradiare l’energia necessaria, perché giunti ad un grado di spiritualità elevato.
[5] È curioso notare che anche nel sistema energetico della MTC, ci sono 14 canali principali (12 meridiani + i due vasi centrali), benché l’identificazione di tali canali sia però completamente diversa.

Per approfondire...

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