La concezione bioenergetica dell'ayurveda
Materiali
Le
concezioni antropologiche orientali, sia quelle che fanno capo alla
Medicina Tradizionale Cinese, che quelle legate all’Ayurveda, sono
caratterizzate da una complessa teoria riguardante la dimensione
bio-energetica dell’essere umano e di tutte le creature viventi.
Tale
concezione, oltre ad essere di primaria importanza nella pratica
delle relative scienze mediche e dei trattamenti ad esse collegate,
costituisce anche una provocazione culturale per avvicinare un modo
totalmente diverso di concepire l’essere umano e la natura. Tale
visione, lungi dall’essere una mera costruzione fantastica o
simbolica, tende sempre più ad avere anche conferme scientifiche o,
quanto meno, a rivendicare una plausibilità razionale, chiedendo
alla nostra concezione della natura, della salute e della malattia,
di mutare radicalmente.
In
un certo senso, per maggiore correttezza, occorrerebbe parlare di
concezione bioenergetica del mondo indo-vedico, in quanto attinge
nozioni da fonti non mediche (upanishad, filosofia Samkhya, ecc.) ed
è condivisa da molte tradizioni di pensiero e “vie” di
realizzazione, quali, ad esempio, lo yoga e il tantra (almeno certe
scuole tradizionali).
Tuttavia,
l’Ayurveda, con il suo consueto atteggiamento sincretico, anche per
via degli obiettivi terapeutici che si prefigge, fa proprie persino
tradizioni bioenergetiche non consuete alla tradizione indo-vedica,
come, ad esempio i meridiani.
Pertanto
non si esagera, affermando che l’Ayurveda possiede la concezione
bioenergetica dell’essere umano più complessa di tutto il mondo
orientale.
Gli
elementi-chiave di questa concezione bioenergetica sono:
- Gli “involucri” energetici (kosha) che costituiscono il campo aurico
- I chakra (di cui non tratterò in questo breve testo)
- Le nadi yogiche
- I plessi marma, che modernamente raccolgono anche i punti utilizzati dal kum nye tibetano
- I meridiani energetici e i punti relativi
Si tratta di una complessa struttura che, per essere padroneggiata, richiede anni di studio e applicazione. D’altra parte, se non si apre questo difficile capitolo, l’ayurveda e i suoi trattamenti perdono l’aspetto più profondo, psicosomatico e spirituale, finendo con l’essere un semplice insieme di tecniche massoterapiche e suggerimenti naturopatici.
1. I cinque involucri dell’essere
La
teoria dei cinque “involucri” (kosha)
che costituiscono la struttura dell’essere, “avvolgendo” il
nucleo spirituale dell’individuo, è stata descritta
nella Taittiriya Upanishad.
Il
testo presenta la scoperta di questi involucri come una sorta di
viaggio dell’interiorità, che muove dal corpo fisico e, andando
sempre più in profondità (una profondità metafisica), giunge ad
incontrare Atman,
lo Spirito.
Nell’esoterismo
moderno, questo viaggio spirituale viene rappresentato mediante la
teoria dei corpi energetici. In sostanza, si afferma che, attorno al
corpo fisico, vi sono altri corpi (il cui numero è variabile a
seconda delle varie tradizioni esoteriche), costituiti da pura
energia, che rappresentano livelli sempre più elevati di esistenza.
Questa concezione esoterica, di fatto, esprime la medesima visione
della Taittiriya Upanishad,
ma costruendo l’immagine al contrario, ossia ponendo il corpo
fisico (il livello vibrazionale più basso) come “contenuto” nei
livelli più elevati e facendo quindi propria – forse
inconsapevolmente – l’immagine proposta da Platone, dell’essere
umano come di un corpo contenuto in un’anima e non viceversa.
In
fondo i due modelli possono ben armonizzarsi, e le aure esterne
relative ai vari corpi, che i sensitivi affermano di vedere
distintamente, potrebbero essere né più né meno che espressioni
energetiche esteriori di livelli esistenziali interiori, in una
corrispondenza tra un “fuori” e un “dentro” puramente
metafisici.
I
cinque livelli o “involucri” (kosha)
dell’essere sono:
- Annamaya kosha – il livello vibrazionale più basso, determinato dal corpo fisico-materiale, costituito dai 5 elementi, dai dosha, fabbricato grazie al cibo;
- Pranamaya kosha – il secondo livello vibrazionale, puramente energetico, l’involucro del prana, che dà energia vitale al livello fisico-materiale;
- Manomaya kosha – il terzo livello vibrazionale, costituito da manas, la mente sensoriale ed emozionale, cui compete appunto l’energia delle emozioni e delle sensazioni;
- Vijnanamaya kosha – il quarto livello vibrazionale, costituito da buddhi, la mente intellettiva, il fuoco dell’intelligenza del cuore, capace di “metabolizzare” energie ed esperienze sensoriali ed emozionali, riconoscendo in esse il significato universale che vi si nasconde;
- Anandamaya kosha – il quinto livello vibrazionale, costituito da citta, è il puro livello della coscienza, l’inizio dell’osservare puro, dimensione che dischiude l’alba dello spirito.
Al
di là di questi cinque involucri riposa Atman,
il “Sé” spirituale, chiamato unicamente a recuperare la
consapevolezza di essere “scintilla di Dio” e, in questa
dimensione, capace di vivere un’esistenza di autentico
essere-verità (sat),
consapevolezza infinita (chit)
e beatitudine (ananda).
È
notevole sottolineare che, per il testo upanishadico, i primi 4
livelli vibrazionali, dal corpo fisico al corpo mentale, appartengono
al mondo del non-essere, non nel senso che non esistano, ma perché
non possono essere detti veramente e profondamente “essere”:
troppe le limitazioni di cui soffrono, troppo forte l’effetto
dell’impermanenza (che si attenua soltanto in vijnanamaya
kosha).
In
sostanza, per la sensibilità filosofica indiana, stranamente
"parmenidea", ciò che non è sempre o non è in modo
assoluto, non può davvero chiamarsi “essere”.
Vivere
a livello dei primi due corpi significa, in un certo senso, esistere
a livello del sonno profondo, completamente inconsapevoli e privi di
ogni reale percezione. Vivere a livello di manas o
di buddhi è
un po’ come essere in uno stato di sogno, dove alcune percezioni
vengono raccolte, sussiste una forma di comunicazione e c’è un
certo livello di consapevolezza, ma all’interno di un mondo chiuso
e generato dal pensiero.
Solo
l’esistenza ai due ultimi livelli può essere paragonata davvero
alla situazione di veglia lucida e consapevole e, proprio in questo
senso, è possibile parlare di colui che vive nella piena
consapevolezza di Citta e dell’Atman, come di un “risvegliato”,
ossia un “Buddha”.
Si
tratta naturalmente solo di metafore, pensate per esprimere una
semplice convinzione: che l’esistenza può essere vissuta e giocata
a vari livelli e il dharma dell’essere umano consiste proprio nello
sperimentare stati vibrazionali di esistenza sempre più elevati,
sino a riconnettersi con il Sé spirituale, riscoprendo la propria
vita come racchiusa nell’Assoluto.
L’anima
umana, a livello inconscio, già “conosce” queste verità.
L’incarnazione serve per farne esperienza. Solo quando la
conoscenza diviene esperienza totale, si può davvero dire di
“essere” ad un certo livello di esistenza.
2. E in concreto…?
La
teoria dei kosha può
senza dubbio costituire un importante spunto di meditazione, ma ci si
può chiedere se, sotto il profilo terapeutico, abbia una qualche
influenza e utilizzo nella pratica ayurvedica.
Di
fatto, l’esistenza dei corpi energetici può costituire la base di
tutto il lavoro diagnostico e terapeutico effettuato direttamente
sull’aura del cliente che, per così dire, è l’insieme dei vari
corpi energetici.
Il
lavoro aurico, si sostanzia in una serie di competenze che possono
essere progressivamente acquisite:
- Sensibilità propriocettiva circa la propria situazione bioenergetica
- Capacità di “muovere” e bilanciare la propria energia attraverso il respiro, il pensiero intenzionale e la visualizzazione
- Capacità percettiva tattile dei propri ed altrui campi aurici e sviluppo della finezza percettiva che consente di leggere la “qualità” dei campi percepiti (analisi energetica della vikriti) e di percepire blocchi, sovraccarichi e vuoti;
- Capacità di “spostare” campi bioenergetici altrui mediante tecniche di ripulitura locale dell’aura;
- Capacità di canalizzare bioenergia verso altre persone dallo stato di vuoto mentale.
L’aspetto
davvero interessante di queste tecniche e metodologie, più che non
lo sviluppo di particolari attitudini diagnostiche e terapeutiche
(che spesso restano oltremodo dubbie!) è la capacità di prendere
consapevolezza della dimensione bioenergetica, di creare le
condizioni per insight potenti e di fare esperienza di un livello
diverso di vita. Tutte cose che possono cambiare radicalmente la
visione di vita del terapista e quindi, indirettamente, anche dei
suoi assistiti.
3. Pranamaya kosha e le sue manifestazioni sul corpo fisico
La
teoria dei kosha consente
di fare un po’ d’ordine circa la natura delle altre strutture
bioenergetiche dell’essere umano:
- Nadi, meridiani, punti di agopuntura e plessi marma sono strutture appartenenti al corpo eterico (pranico), ossia a pranamaya kosha, ma che si trovano sul corpo, pur non avendo una struttura anatomicamente o fisiologicamente rilevabile
- I chakra, sono invece una struttura molto più complessa, che pur radicandosi sul corpo fisico, attraversa tutti gli altri involucri, sino ad andare a contattare anandamaya kosha, il corpo causale, ove si trova la programmazione dharmica e karmica riguardante l’individuo.
- Tutte le altre dimensioni, quella emozionale-sensitiva-istintuale, l’intelligenza e la coscienza, influenzano e vengono influenzate dalla rete energetica di pranamaya kosha e, attraverso di essa, si interfacciano anche con il corpo fisico. Su tali strutture si interviene non tanto attraverso manipolazioni o trattamenti, ma attraverso una sadhana, ossia una disciplina quotidiana che passa anche attraverso la scelta di alcune realtà fisiche (cibo, purificazione), sociali (persone frequentate, maschere e condizionamenti) e ambientali (energie dei luoghi, ritmi di vita, ecc.), oltre, naturalmente, alla meditazione.
4. I plessi “marma”
Le
varie concezioni mediche orientali per lo più concordano sul fatto
che, sul corpo umano, siano presenti alcuni punti speciali, dove
l’energia si manifesta in maniera più eclatante, veri e propri
punti vitali da colpire per distruggere l’avversario – come
avviene nelle arti marziali del Kalarippayattu in India o dello
Shaolin in Cina – o da manipolare sapientemente per guarire
malattie, come nell’agopuntura, nel tuina, nello shiatsu o
nel marma cikitsa. Anche la tradizione terapeutica musulmana insiste
sulla conoscenza di opportuni “punti di pressione”
denominati muqame makhsoos che
spesso coincidono con i punti della reflessologia occidentale.
Dal
punto di vista della scienza occidentale, si tratta, senza dubbio, di
punti che attivano riflessi viscerosomatici e ciò resta vero anche
per le medicine orientali, ma queste ultime vedono nei punti vitali
qualcosa di più: sono zone che consentono di attuare una vera e
propria terapia energetica.
Per
la tradizione ayurvedica i plessi vitali del corpo vengono denominati
“marma”, che significa “segreto”, in quanto si tratta di
punti che – data la loro grande efficacia – venivano insegnati
soltanto agli allievi più avanzati e fidati.
4.1 Cosa sono i “marma”
Innanzi
tutto alcune precisazioni sulla grafia e le traslitterazioni.
In
Hindi, il termine usato per indicare i plessi vitali è “marma”
(talvolta si usa il plurale all’inglese: “marmas”),
mentre in sanscrito è “marman”.
In
lingua tamil vengono denominati “varman”
e in lingua malayalam si chiamano “marmmam”.
Si
tratta di precisazioni aride quanto necessarie, per chiarire
l’origine di eventuali differenze di denominazione che si possono
incontrare sui testi specializzati.
Comunque
li si voglia chiamare, si tratta di punti, o meglio di “plessi”,
localizzati in particolari zone anatomiche, caratterizzate dalla
presenza contemporanea di almeno due (ma secondo Sushruta
Samhita addirittura cinque) strutture
fra le seguenti:
- vasi sanguigni
- ossa
- nervi
- muscoli
- legamenti
- articolazioni
Da
un punto di vista energetico, i marma si considerano attivi quando in
essi scorre il prana, con intensità e concentrazione differente a
seconda delle fasi del calendario lunare. I marma, dunque, come gli
“tsubo” della MTC, costituiscono veri e propri punti di accesso
al sistema energetico (cioè elettromagnetico) del corpo.
Secondo
la dottrina ayurvedica, nei marma sono presenti sia i tre dosha
(Vata, Pitta, Kapha) che i tre Guna (Sattva, Rajas e Tamas).
4.2 Le tradizioni riguardanti i marma
Quanti
sono i marma? Dove sono localizzati?
Chiedersi
questo significa addentrarsi nel complesso mondo delle tradizioni
mediche e dei testi tradizionali che le sostengono.
Come
per le tecniche di massaggio, anche per quanto riguarda i marma, si
possono individuare nella cultura indiana due principali tradizioni:
- La tradizione autenticamente ayurvedica, normalmente indicata con il nome del saggio Parashurama, che individua 107 marma, identificati da 43 nomi per un totale di oltre 150 plessi.
- La tradizione del sud, dravidica, che si ricollega alla tradizione medica siddha e viene denominata “Agasthya”, dal nome di un altro saggio. È la tradizione seguita dai praticanti del varma ati e dai medici siddha. Questa tradizione individua 108 marma, ciascuno con nome proprio.
Accanto
a queste due tradizioni va ricordata la categoria
degli yogamarmmam che
non si troverebbero sul corpo fisico, ma su quello eterico (sukshma
sharira) e sarebbero in tutto 32, attivabili
con lo sguardo o con il puntamento dell’indice da un operatore
dotato di adeguati poteri energetici.
Nell’ayurveda
moderno si è instaurata l’abitudine di utilizzare quali punti
marma anche quelli usati dal Kum Nye tibetano, che talvolta
coincidono con marma e punti tsubo, mentre altre volte costituiscono
un ulteriore incremento di zone d’intervento.
4.3 Marma chikitsa
Ben
presto, all’interno delle scuole ci si rese conto che, se da una
parte era facile danneggiare il corpo di un uomo colpendolo sui punti
marma, era però anche possibile, attraverso stimolazioni opportune,
sfruttare terapeuticamente la particolare “energia vitale” che
nei marma si trova.
Da
qui, nel corso dei secoli, si sono sviluppate le tecniche di “marma
chikitsa”, ossia le varie forme di
trattamento dei marma. Le principali sono le seguenti:
- Marmabhyangam – massaggio dei marma effettuato con olio.
- Attivazione dei marma a secco – utilizzando tecniche di digitopressione, palmopressione e altre manualità simili al tuina cinese.
- Rakta moksha – salasso effettuato sui punti marma.
- Suchi karma – una sorta di agopuntura effettuata sui marma invece che sui punti dei meridiani.[1]
- Agni karma – terapia del calore, effettuata mediante sottili bastoncini di metallo riscaldati.[2]
- Micropindasveda – modalità alternativa di agni karma, più comune in thailandia.
- Lepa – impiastri medicati caldi da applicare sui marma.
- Kshara karma – applicazione di sostanze alcaline,[3] considerata una variante di agni karma.
- Cundumarmmam – attivazione aurica tramite l’indice della mano.
- Nokkumarmmam – attivazione aurica mediante lo sguardo e il pensiero.[4]
4.4 Le mappe dei plessi marma
Purtroppo,
se si guardano le mappe disponibili che descrivono i plessi marma,
non si può che prendere atto di una grande confusione.
A
parte alcuni plessi, posizionati e denominati in modo univoco da
tutte le tradizioni, gran parte dei plessi marma cambia denominazione
e posizione sul corpo a seconda dell’area geografica della scuola,
o dei vari maestri.
Ciò
senza dubbio si spiega, almeno in parte, per il carattere familiare e
non istituzionalizzato che ha caratterizzato l’insegnamento
dell’ayurveda per molti secoli e quindi per la particolare
sottolineatura che ciascun maestro – nella sua pratica quotidiana –
ha voluto dare a questo o quel plesso energetico. Ciò, tuttavia, non
ne agevola lo studio, né l’utilizzo terapeutico concreto che, non
a caso, finisce col preferire i punti dell’agopuntura,
anatomicamente ben individuabili e dalle caratteristiche terapeutiche
meglio documentate.
Tuttavia,
il bodywork effettuato attraverso i marma si rivela potente,
soprattutto sotto il profilo psicosomatico; una vera e propria
meditazione corporea in grado di portare il ricevente in stati di
coscienza diversi da quello di veglia ordinaria e di evocare reazioni
psicosomatiche e intense consapevolezze.
Purtroppo,
le attuali scuole di ayurveda, invece di affrontare il problema con
elasticità e valorizzare le diverse mappature dei plessi marma
ritenendole alternative, tendono piuttosto a chiudersi, concludendo
sbrigativamente che la propria mappa è corretta e le altre
inevitabilmente sbagliate. Perciò non è raro, per gli studiosi,
frequentare un corso di marmabhyangam con una scuola e imparare una
certa mappa che viene poi completamente squalificata se si va a
frequentare una scuola diversa. Il tutto è piuttosto irritante.
Il
suggerimento operativo potrebbe essere il seguente: imparare bene una
certa mappa (attendibile), applicarla a fondo sino a renderla
automatica. Poi, in un secondo tempo, avvicinarne altre e studiare le
varianti che altre scuole propongono, ma a partire da un riferimento
sicuro. In questo modo si può evitare la confusione valorizzando le
differenze.
La
cosa davvero importante non è tanto quella di imparare a memoria un
insieme di punti, quasi fossero bottoni da pigiare, ma di comprendere
perché di un determinato marma vengono date molte varianti. Bisogna
riflettere su quali strutture anatomo-fisiologiche il marma sta
operando, “ascoltarne” la qualità energetica.
Il
lavoro di bodywork attraverso i marma richiede un operatore altamente
consapevole, di elevate capacità d’ascolto, capace di grande
silenzio interiore e di rimanere in atteggiamento meditativo per
tutto il trattamento, abile nell’utilizzare il proprio respiro e,
se ritiene opportuno, la visualizzazione.
Personalmente
ritengo l’insegnamento delle tecniche con i marma come il
coronamento di un percorso di formazione ayurvedica, non certo
l’inizio. Diversamente si ottiene solamente un operatore che agisce
in modo meccanico, tradendo alla radice la natura energetica e
meditativa dell’ayurveda.
5. Le nadi
Nello
yoga, nel tantra e nell’ayurveda, con il termine “nadi” si
intende un insieme di “canali” metafisici, in cui scorre
l’energia del prana. In effetti il concetto è del tutto simile a
quello dei “meridiani” della MTC, ma la caratterizzazione
differente e l’utilità pratica per il terapista assai più
limitata.
Innanzi
tutto i meridiani sono collegati ad un elemento (loggia energetica) e
presentano quindi caratteristiche psicosomatiche precise e largamente
conosciute, mentre le funzioni assegnate alle nadi yogiche sono assai
più controverse. Inoltre i meridiani corrono relativamente
superficiali e presentano dei punti di accesso (gli tsubo, appunto),
che li rendono “manipolabili” con varie tecniche, mentre i
percorsi delle nadi yogiche sono essenzialmente profondi e senza
punti di accesso, per cui possono essere lavorate soltanto
“dall’interno”, attraverso il respiro e la visualizzazione.
Esse costituiscono perciò piuttosto uno strumento per lavorare con
la propria energia che non per muovere quella di un altro soggetto.
Le nadi in sostanza costituiscono quel "corpo alchemico"
caro al Tantra, che più che "esistere" realmente è una
proiezione energetica (non per questo meno "vera" ed
efficace) del soggetto.
Il
sistema energetico è formato da 14 nadi principali,[5] di
cui 3 fondamentali:
- Sushumna
- Ida
- Pingala
Sushumna è
localizzata all’interno dell’asse cerebro-spinale: inizia al
perineo e giunge nello spazio fra i due emisferi cerebrali, sino al
settimo chakra. Essa costituisce il “condotto” pranico su cui si
innestano i sette chakra principali (raja chakra). Non coincide né
con “vaso governatore” né con “vaso concezione” della MTC,
perché questi ultimi corrono rispettivamente sulla schiena e
sull’addome, seguendo in superficie la linea della colonna
vertebrale, mentre sushumna è rappresentata al centro della colonna
stessa, nel canale midollare.
Ida è
il canale principale della parte sinistra del corpo. Corre dalla
parte sinistra dei genitali (dal testicolo sinistro nei maschi) sino
alla narice sinistra. Secondo alcune tradizioni Ida corre
semplicemente alla sinistra di sushumna, mentre per altre, più
numerose e accreditate, sale a spirale, avvolgendo i chakra (sino al
5°).
Nella
tradizione yogica Ida viene attivata con la respirazione dalla narice
sinistra. Esprime l’energia lunare (chandra),
yin, notturna, femminile, fredda, silenziosa. Per questo si ritiene
che la sua energia calmi i nervi e la mente, favorisca la
visualizzazione interiore e la creatività. La pratica del pranayama
suggerisce la respirazione con la narice sinistra soprattutto di
giorno, per riequilibrare con energia lunare quella prevalentemente
solare dell’ambiente.
Pingala è
il reciproco di Ida, ossia il canale principale della parte destra
del corpo, che corre dalla parte destra dei genitali (testicolo
destro nel maschio) sino alla narice destra. Il percorso è
simmetrico a quello di Ida. Il percorso delle due nadi insieme
costituisce la ben nota immagine “ad elica” che rappresenta
l’energia “kundalini” ed è il simbolo stesso del Tantra.
Pingala esprime l’energia solare (surya), yang, diurna, maschile,
calda, estrovertita. Perciò, nella pratica del pranayama, il respiro
dalla narice destra si ritiene che stimoli l’energia dinamica del
corpo, favorendo il vigore, la vitalità e la dimensione razionale e
pragmatica dell’esistenza. Per questo si suggerisce di attendere
alla respirazione dalla narice destra soprattutto di notte, per
bilanciare l’energia lunare dell’ambiente.
5.1 Le 4 nadi dipendenti da Ida e Pingala
Legate
a Ida e a Pingala vi sono altre due coppie di nadi:
Nadi
dipendenti di Ida
- Gandhari – dall’occhio sinistro all’alluce del piede sinistro
- Hastajihva – dall’occhio destro all’alluce del piede sinistro
Nadi
dipendenti di Pingala
- Yashasvini – dall’orecchio sinistro all’alluce del piede destro
- Pusha – dall’orecchio destro all’alluce del piede sinistro
Queste
due coppie di nadi meritano qualche considerazione. Gandhari e
Hastajihva sembrano confermare la concezione della MTC circa il
rapporto tra l’energia del meridiano del fegato (che parte proprio
dall’alluce) e gli occhi. Nella MTC il meridiano del fegato, nel
suo percorso superficiale accessibile, termina ben lontano dagli
occhi, ma i testi antichi indicano un percorso interno più profondo
che giunge sino agli occhi. Fra l’altro, anche il meridiano del
fegato è yin, lunare, femminile.
Inoltre
le quattro nadi rendono comprensibile lo strano “uso” degli
indiani di massaggiarsi continuamente i piedi, specialmente l’alluce.
Ciò viene fatto, consapevolmente o no, per stimolare udito e vista.
Si
potrebbe inoltre dare una lettura simbolica di queste quattro nadi:
le due legate a Ida, hanno a che fare con la vista, mentre le due
legate all’udito hanno a che fare con Pingala. Metaforicamente si
potrebbe dire che la funzione del “vedere”, specialmente la vista
profonda, intellettiva, della comprensione, viene alimentata dal
silenzio e dall’energia lunare di Ida, mentre l’udire (e dunque
anche il parlare), ovvero le funzioni di socializzazione per
eccellenza, sono prerogativa dell’energia solare, yang, attiva.
5.2 Le altre 7 nadi
- Alambusha – dall’ano alla bocca; gestisce l’energia di assimilazione ed evacuazione dei cibi e delle idee.
- Varuni – inizia fra la gola e l’orecchio sinistro e termina all’ano; di fatto corre in senso opposto e parallelo ad Alambusha, con la medesima funzione.
- Shankhini – dalla gola all’ano; è in rapporto con apana vata.
- Kuhu – dalla gola ai genitali; sottolinea il rapporto tra nutrizione e sessualità, tra comunicazione e relazionalità. Nel Tantra sottolinea il rapporto tra oralità e genitalità.
- Saraswati – dalla lingua alle corde vocali; gestisce l’energia della parola e della diffusione della conoscenza; è una nadi lunare.
- Pasyasvini – dal lobo dell’orecchio destro alla testa. Esprime probabilmente il rapporto tra udire e comprendere, nonché tra udire e pensare.
- Vishvodara – intorno all’ombelico, alimenta le surrenali e il pancreas. È la nadi del centro energetico in cui si raccoglie il prana, situato tre dita sotto l’ombelico e noto a tutte le tradizioni filosofiche dell’oriente.
[1] Va
detto che molte scuole ayurvediche contemporanee rifiutano
l’infissione di aghi come tecnica terapeutica.
[2] Una
sorta di variante della moxibustione cinese.
[3] Procedimento
simile alla cauterizzazione chimica effettuata nella medicina
occidentale.
[4] Ovviamente
queste ultime due tecniche vengono praticate soltanto nelle scuole di
marcata caratterizzazione esoterica e soltanto da soggetti ritenuti
capaci di canalizzare e irradiare l’energia necessaria, perché
giunti ad un grado di spiritualità elevato.
[5] È
curioso notare che anche nel sistema energetico della MTC, ci sono 14
canali principali (12 meridiani + i due vasi centrali), benché
l’identificazione di tali canali sia però completamente diversa.
Per
approfondire...
Luigi
Lacchini - "Prana e dintorni... -
formato Kindle
Luigi
Lacchini - "Mente
e consapevolezza nella psicologia yogico-tantrica"
Luigi
Lacchini - "La
struttura della mente nella psicologia yogico-tantrica"